Il clima a Los Angeles è effettivamente “di forte stupore” rispetto all’implicazione di efavirenz nello sviluppo di lipoatrofia. Riportiamo in questa sede due interviste, una al Professor Massimo Galli, Università degli Studi di Milano, Ospedale Sacco, esperto italiano su problemi di effetti collaterali, metabolismo e lipodistrofia ed una al Dr. Filippo von Schloesser, Presidente della Fondazione Nadir Onlus.Massimo Galli – Della lipodistrofia nell’infezione da HIV ci si è resi conto circa due anni dopo l’introduzione degli inibitori della proteasi, tanto che a molti medici e pazienti è sembrata quasi lo scotto da pagare in cambio della potenza di questa classe di antiretrovirali. Qualche anno più tardi veniva provato il ruolo attivo degli NRTI ed in particolare degli analoghi TIMIDINICI, nella genesi della lipoatrofia. Oggi cade un altro dogma, quello del presunto ruolo “protettivo” degli NNRTI (analoghi non nucleosidici) rispetto ai PI (inibitori della proteasi) nello sviluppo della lipodistrofia.
Al 14° CROI di Los Angeles, nella sessione dedicata alle tossicità metaboliche, sono stati presentati due studi di confronto tra regimi basati su EFV (efavirenz, Sustiva) e LPV/r (Kaletra). Il primo studio, l’ACTG 5142, ha evidenziato nel braccio contente EFV un’incidenza doppia di lipoatrofia rispetto al braccio contenente LPV/r. Il terzo braccio dello studio, contenente LPV/r ed EFV senza nucleosidici associati, è risultato il meno gravato da incidenza di lipodistrofia.
Questi risultati concordano con quanto emerso dallo studio M03-613, che metteva a confronto una monoterapia (dopo induzione con triplice combinazione) a base di LPV/r con una triplice includente EFV. Interessante notare che una minor induzione di lipodistrofia si evidenziava in questo studio nel braccio basato su LPV/r già nel periodo di induzione, quando entrambi i bracci prevedevano l’associazione con un backbone nucleosidico.
Per contro, in entrambi gli studi, non sono state evidenziate differenze nella comparsa di fenomeni di lipoaccumulo nel braccio contenente LPV/r rispetto a quello con EFV. I regimi contenenti NNRTI sono generalmente percepiti come meno coinvolti nell’induzione di lipoaccumulo rispetto a quelli includenti PI: i dati di questi due studi sembrano sfatare anche questa associazione prevalente a carico dei PI potenziato e sollevano interrogativi sulla loro interpretazione che meriteranno ulteriori ricerche.
Associato ai PI resta, per contro, la tendenza ad un maggior aumento dei trigliceridi, che sono risultati più elevati nei bracci con LPV/r rispetto a quelli con EFV, mentre sono sovrapponibili gli andamenti del colesterolo totale e HDL, che costituiscono un elemento importante ai fini della valutazione del rischio cardiovascolare.
La lipodistrofia impatta drammaticamente sulla qualità di vita del paziente, sulla sua autostima e sui rapporti sociali oltre a gravare sui costi sanitari con i trattamenti correttivi. Questi ultimi dati sembrano ridimensionare di molto lo scotto da pagare alla potenza ed associare alle altre riconosciute caratteristiche favorevoli di LPV/r, il profilo di resistenze e la durata degli effetti, un impatto assai più gentile del previsto sul tessuto adiposo.
Filippo von Schloesser – Alla luce degli studi presentati oggi, si impone un riesame della pratica clinica comunemente adottata per il trattamento dell’HIV nei casi in cui si impiega EFV (efavirenz). Questi regimi possono essere impiegati in prima linea o in fase di semplificazione, allo scopo di ridurre le potenziali tossicità e prevenire i fenomeni di lipoatrofia.
Oggi, se dovessi dare un’opinione ad una persona che mi chiede suggerimenti specifici, avrei forti perplessità a suggerire un cambiamento o una terapia iniziale contenente efavirenz. In presenza di accertata tossicità, preferirei suggerire un trattamento iniziale ad alta barriera genetica.
Contrariamente a quanto si riteneva fino ad oggi, questi studi ci hanno mostrato che non vi sarebbe una correlazione diretta tra trigliceri, colesterolo e lipodistrofia (in particolare lipoatrofia). Ma questo aspetto necessita di ulteriori conferme.
Ci auguriamo comunque che i medici tengano in considerazione queste nuove evidenze per poter ridefinire l’approccio terapeutico anche in vista di prevenire la lipodistrofia che, tra l’altro, è uno dei motivi più comuni di scarsa aderenza.