Nella coinfezione HIV/HCV la biposia epatica è un esame importantissimo per stabilire lo stato del nostro fegato … tuttavia è anche un esame invasivo e potenzialmente rischioso. Secondo studi recenti la biopsia epatica, lo standard principe per raggiungere decisioni in merito ad un intervento terapeutico per le persine coinfette con HIV/HCV, potrebbe essere non necessaria in molti casi, in quanto i test sui markers biochimici possono, in molti casi, dare una chiara indicazione sul danno epatico. Questo sarebbe possibile grazie anche alle più recenti e avanzate tecniche diagnostiche e terapeutiche. In uno studio pubblicato su AIDS, ricercatori francesi hanno guardato all’utilità di un indice di 5 markers biochimici e virologici come fattore predittivo della fibrosi epatica HCV- correlata in 130 pazienti HIV/HCV coinfetti, trattati all’ospedale Hopital La Pitie-Salpetriere, Parigi tra il 1995 e il 2000. I markers presi in considerazione sono stati l’età, il sesso, la bilirubina totale, le GGT, la alfa2macroglobuline le apolipoproteine A1 e le aptoglobine. Questi markers sono utilizzati per determinare il grado di fibrosi e il rischio della progressione dell’HCV in pazienti HIV negatici, ma HCV+. Sono stati anche registrati il numero di CD4 e la carica virale. I ricercatori hanno trovato una relazione significativa tra lo stadio della fibrosi e le alfa2-macroglobuline e le apolipoproteine. Predittivi della fibrosi in crescere sono le alfa2macroglobuline, le apolipoproteine A1 e il sesso maschile, con le GGT al limite (borderline significance) Si sarebbe potuto dunque secondo i ricercatori non fare la biopsia epatica nel 55% dei pazienti, con l’89% dell’accuratezza. I ricercatori addirittura dicono che questi tipi di test sono più accurati di una biopsia. Anche se un basso numero di CD4 è associabile con la fibrosi in una analisi monovariante, non è così però in un’analisi multivariante. Questa probabilità relaziona i markers biochimici e lo stadio della fibrosi. Nessuna associazione tra stadio della fibrosi e carica virale. I ricercatori concludono dunque che questo indice, se confermato da studi più ampi, prospettici ed indipendenti, potrebbe evitare molte biopsie epatiche.
Anche un recente editoriale su AIDS arriva alle stesse conclusioni. L’editoriale dice che molti pazienti HIV/HCV dovrebbero essere automaticamente candidabili per una terapia anti-HCV indipendentemente dallo stadio della fibrosi. Gli unici criteri da tenere in considerazione sarebbero il basso numero di CD4 (in quanto bassi CD4 implicano risposta scarsa al trattamento anti-HCV) e la scelta di un regime terapeutico anti-HIV (da evitare ddI e AZT, se si inizia la terapia con Peg-INF e ribivarina, visto il potenziale aumento di rischio di pancreatite e anemia con il co-utilizzo di RBV e AZT e ddI).