La polmonite killer si chiamerà «Sars Urbani» in onore del medico che l’ha scoperta e combattuta fino a rimanerne uccisoGli amici: «Era molto preparato e competente. Ha sempre saputo coniugare idealismo e spirito pratico».Il suo nome è destinato agli annali: la polmonite killer si chiamerà «Sars Urbani» in onore del medico che l’ha scoperta e combattuta fino a rimanerne ucciso. Però sul sagrato della chiesa di San Sebastiano, nei pensieri di chi l’ha conosciuto, non c’è lo scienziato diventato celebre nel mondo per la caccia al virus. Ad avere la meglio sono i ricordi in carne e ossa degli amici, dai banchi di scuola alle missioni nel Terzo Mondo, del prete e dei volontari dei campi scuola saveriani. Squarci di normalità trascolorati nell’eroica volontà di non accettare lo statu quo. «Con un flash sapeva illuminare scenari sconfinati, dal cinismo delle multinazionali sui brevetti anti-Aids ai farmaci fantasma delle organizzazioni internazionali; dai migliaia di bambini uccisi in Cambogia dal latte in polvere mescolato ad acqua infetta alle manciate di euro sufficienti a sfamare un villaggio vietnamita – racconta il vicesindaco di Castelplanio e amico, Luciano Pittori -. Carlo ha sempre saputo coniugare idealismo e senso pratico. Non era uno sprovveduto, sapeva quanto rischiava e si è fatto carico di responsabilità enormi. Aveva studiato tutta la vita per fare ciò che faceva, era convinto che solo “sul campo” si può provare a cambiare il mondo». La morte di questo eroe della medicina – recitano i telegrammi piovuti dalla galassia «non profit» – ci ricorda i rischi ai quali si sottopongono i medici che lavorano in prima linea per difendere la salute della popolazione mondiale. Ai piedi dell’altare, la bara e un Vangelo. Oggi durante i funerali il vescovo Oscar Serfilippi ne leggerà le pagine del Buon Samaritano a simboleggiare l’esemplarità del sacrificio di Carlo Urbani, alla cui memoria il presidente Carlo Azeglio Ciampi, su segnalazione del ministro della Salute Girolamo Sirchia, ha assegnato la medaglia d’oro come benefattore della sanità pubblica. «Tornava sempre tra noi con qualche problema da risolvere, un dispensario da costruire in Mauritania, una partita di medicinali salvavita da dirottare su qualche angolo del pianeta, un’epidemia favorita dalla corrotta burocrazia di regimi da operetta – afferma il parroco don Mariano Picciotti -. Però, non era solo il “postino” degli aiuti umanitari, ma teneva contatti con chiunque lo sostenesse nelle sue battaglie. Era consapevole delle sproporzione delle forze. E’ come voler svuotare il mare con il secchiello, diceva. Momenti di sconforto, cancellati ogni volta dal sì interiore all’emergenza successiva». Fino a notte fonda è andata avanti a San Sebastiano la veglia di preghiera affollata di compaesani commossi. Una maratona di condivisione e solidarietà inaugurata a porte chiuse dagli Urbani, stretti attorno alla madre Maria Concetta, per tutti in paese «la preside» per i decenni spesi a dirigere la scuola media comunale, la più provata dalla tragedia. Per esplicita volontà del figlio era stata tenuta all’oscuro dell´agonia e ora fissa il feretro con aria smarrita, piegata dal dolore. Sulle spalle il peso di un amore spezzato, di un legame che da un paio d’anni l’aveva spinta a impratichirsi con Internet per comunicare via e-mail con quel figlio sempre in viaggio. Una tragedia che si fa testimonianza nella vicenda dell’ex medico di famiglia che alla comoda poltrona di primario all’ospedale di Macerata aveva preferito uno zaino pieno di antibiotici e un’improvvisata sala operatoria in mezzo alla giungla. Ora a parlare di lui restano gli ideali tramutati in azioni e in diagnosi precise, come lo è stata la sindrome polmonare identificata nell’uomo d’affari americano ricoverato ad Hanoi. D’altronde, Urbani nascondeva dietro il naturale understatment un granitico «cursus honorum». Prima di votarsi allo studio della polmonite killer, aveva coordinato numerosi programmi sanitari in Cambogia, Laos e Vietnam. Una vocazione nata nelle campagne benefiche di Mani Tese e dell’Azione Cattolica e divenuta costante opera di volontariato con «Medici senza frontiere», di cui diventò presidente, ritirando a Oslo nel ’99 il premio Nobel per la pace. Una disponibilità costante fino alla morte in Vietnam. Uno spirito di «eroica dedizione per la scienza e i malati», ha sottolineato il ministro Sirchia, fino all’ultimo istante. Accanto al letto di morte l´ha assistito un missionario, singolarmente con il suo stesso cognome. Urbani, proprio come si chiamerà d’ora in poi la «Sars».