Chi si illudeva che il peggio fosse passato, apprende, invece, che tornano ad aumentare i casi di infezione e di Aids conclamato negli Stati Uniti e in Europa. È la prima volta dal 1996, l’anno della svolta nella cura che aveva trasformato la sindrome in una condizione cronica, almeno nei paesi ricchi. Non c’è da stupirsi: se non si ferma l’epidemia globale, il serbatoio di persone infette, che ha già raggiunto la quota di 42 milioni nel mondo, non può che tornare a riversarsi anche su di noi, travolgendo ogni argine. È questa la maledizione di un virus che si propaga con la più irrinunciabile attività umana: il sesso. La promessa di Bush di spendere 15 milioni di dollari in Africa nei prossimi cinque anni non è una “compassion agenda”, ma una improrogabile autodifesa; peccato che si sia già incagliata al Congresso in dispute moraliste sull’aborto (se i soldi possano andare anche ai centri che fanno pianificazione familiare nel Terzo mondo). Chi sperava nel vaccino può metterci una croce sopra. L’Aidsvax ha deluso. Un vaccino non c’è, e forse non ci sarà mai, se hanno ragione gli scienziati che fanno osservare come il diabolico Hiv attacchi proprio le cellule che dovrebbero difenderci. Le quali non riescono a sopraffare definitivamente l’infezione naturale, per definizione uno stimolo più potente di qualsiasi vaccino. Non restano che i farmaci, ma si deve fare i conti con un nemico capace di mutare un miliardo di volte in 24 ore in ogni singolo malato. La corsa a trovarne di nuovi, per superare la resistenza ai vecchi, dà risultati sempre più lenti e costosi. A marzo entra nel mercato europeo il nuovo Fuzeon che combatte il virus bloccandolo sulla porta d’ingresso alle cellule; la cattiva notizia è il prezzo, che si aggirerà sui 20 mila euro l’anno per paziente. Anche i paesi opulenti faranno fatica a reggere questi costi. Si torna così al punto di partenza: le soluzioni sarebbero talmente onerose da essere inutilizzabili dove ce n’è più bisogno.
«Le leggi della domanda e dell’offerta non possono risolvere l’Aids»: scrive “The Economist”. E auspica qualche idea creativa di finanza pubblica. Urge, con 480 milioni di morti previsti dall’Onu da qui al 2050.