Allarme statunitense sul numero di sieropositivi che non sanno di esserlo e possono inconsapevolmente contagiare partner e figli. Uno studio solleva il problema anche in Italia.I Centers for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta invitano il governo statunitense a raccomandare con forza il test rapido sull’HIV per alcune categorie di persone. Secondo l’autorità epidemiologica americana sarebbero infatti circa 200.000 gli americani sieropositivi che non sanno di esserlo, vere e proprie “mine vaganti” che andrebbero resi consapevoli del loro (e altrui) rischio. La diffusione a tappeto del test, secondo i CDC, darebbe più seguito alle campagne di prevenzione che attualmente languono un po’. Secondo Anthony Fauci, del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, “è tempo che il test venga incorporato negli esami di routine”. In Italia, una ricerca appena pubblicata su Epidemiologia&Prevenzione (numero 2, 2003) da Giovanni Rezza e colleghi dell’istituto Superiore di Sanità, mostra come l’incidenza dell’infezione, dopo anni di decremento, stia ricominciando a salire, almeno a giudicare da alcuni registri locali (Veneto e Trento). Se negli anni novanta la principale via di trasmissione in Italia era la droga ora sono i rapporti eterosessuali. La sindrome, insomma, oltre a crescere in prevalenza grazie ai successi della terapia antiretrovirale, si “laicizza” andando a colpire sempre di più il signor Rossi e non le tradizionali categorie a rischio. Questo porta a un abbassamento della soglia di consapevolezza dei comportamenti a rischio. Tanto è vero – spiegano i ricercatori – che più della metà dei sieropositivi si accorge di aver contratto il virus solo ai primi sintomi di AIDS conclamato. Una situazione allarmante che ricorda quindi quella statunitense e che sancisce anche per l’Italia il parziale fallimento delle campagne di prevenzione. Gli studiosi chiedono quindi che anche l’Italia adotti i sistemi di sorveglianza (anonimi) sui casi di sieropositività di cui circa 40 paesi europei si sono già dotati. “Resta comunque la questione dei soggetti sieropositivi che sfuggono al sistema di sorveglianza perché non si sottopongono al test sierologico HIV” spiegano i ricercatori italiani. “Questo comporta una sottostima sia dell’incidenza sia della prevalenza, che può variare per area geografica, per gruppo a rischio e per periodo, in funzione di variazioni nell’accesso al test”. Anche in Italia sarebbe dunque l’ora di offrire in modo più efficace il test HIV ad alcune categorie della popolazione. Per esempio alle donne gravide. Scoprire in gravidanza di essere sieropositive consentirebbe infatti di diminuire il tasso di trasmissione verticale del virus dal 25 per cento a pochi punti percentuali, con semplici misure, come il parto cesareo, l’allattamento artificiale, e la somministrazione di farmaci antiretrovirali alla mamma e al bambino.