Il governo annuncia dal 1 ottobre una campagna nazionale basata sui farmaci antiretrovirali generici prodotti fuori brevetto in patria. Entusiasmo e critiche: «Troppo tempo e troppe vite perse»Dal primo ottobre per i cinque milioni di persone che in Sudafrica sono infettati dal virus hiv si aprirà uno spiraglio di speranza. E’ questa la data fissata dal governo del presidente Thabo Mbeki per il lancio operativo del primo vero piano nazionale di lotta contro il virus, basato sulla nuova produzione «autarchica» di farmaci anti-retrovirali generici relativamente a basso costo presentati ufficialmente la settimana scorsa dalla casa farmaceutica sudafricana Asphen. La campagna, di cui il governo sta appena terminando di valutare i costi e le difficoltà da superare – in primo luogo la necessità di potenziare moltissimo i servizi medici di controllo, perché l’assunzione sbagliata dei farmaci potrebbe essere un rimedio peggiore del male – è stata annunciata al termine della prima conferenza nazionale sudafricana sull’aids, durante la quale le critiche al governo lanciate dai rappresentanti di moltissime organizzazioni (di malati, di medici, di solidarietà internazionale) sono state particolarmente intense. La campagna rappresenta infatti una svolta importantissima nella politica sanitaria del paese, e potrebbe anche essere uno snodo cruciale per l’intera Africa, che finora non è stata in grado di fare quasi nulla per combattere quella che ormai si presenta come una «pandemia».
Finora il governo di Pretoria aveva tenuto un atteggiamento scettico, quando non apertamente negativo, nei confronti delle continue sollecitazioni ad agire contro l’aids con una vera campagna coordinata e con una produzione nazionale di farmaci adeguati: il presidente Mbeki aveva lungamente avuto un atteggiamento «negazionista» a proposito dello sviluppo del contagio hiv in aids conclamato; e aveva spesso sostenuto, comunque, che la priorità non andava data al trattamento farmacologico ma al miglioramento delle condizioni economiche e del regime alimentare della popolazione. Un atteggiamento che tra l’altro influiva anche sulla situazione dei paesi africani più poveri e più colpiti dall’infezione, che sono tutti dipendenti dal Sudafrica se non altro sul terreno dell’approvvigionamento di farmaci.
Da qui le critiche che continuano anche oggi a venire al suo governo, di aver agito troppo tardi e di aver così lasciato di fatto morire migliaia di persone che forse potevano vedere la propria vita prolungata, se non salvata. Gli antiretrovirali, in effetti, non curano l’aids ma consentono di prolungare e rendere migliore la vita dei malati, dando così loro anche la speranza di fare in tempo a vedere lo sviluppo di una vera e propria cura. Il problema, oltre al costo finora proibitivo perché gonfiato dai brevetti delle multinazionali farmaceutiche, è che gli antiretrovirali sono farmaci complessi che richiedono procedure di assunzione non semplici: usati fuori controllo potrebbero avere effetti negativi anche molto gravi, come la nascita di nuovi ceppi di virus hiv più resistenti.
Qualche dato – purtroppo non nuovo – per illustrare le dimensioni del problema nel continente: il 70 per cento dei 45 milioni di malati di aids di tutto il mondo vive nell’Africa subsahariana (e quasi il 60 per cento di loro sono donne), con percentuali spaventose di malati sul totale della popolazione in alcuni paesi – appunto il Sudafrica, dove i malati sono l’11 per cento della popolazione, o peggio il Botswana, dove si sfiora il 30 per cento. Secondo una stima del programma aids delle Nazioni unite, sono almeno altri 30 milioni gli africani che sono già morti per aids o che ne sono stati resi orfani.