Le pressioni dei circoli culturali neoconservatori e della Casa Bianca per avere camici bianchi fedeli alla linea decisa dall’amministrazione Bush.Secondo un documentato rapporto della minoranza democratica al Congresso, l’amministrazione repubblicana di Bush Jr. sta intervenendo pesantemente nei risultati della ricerca scientifica Usa, manipolandola e distorcendola ai fini della propria politica conservatrice. Lo denuncia una lunga relazione del Government Reform Committee, la principale commissione investigativa parlamentare che ha il compito di controllare l’operato delle agenzie federali e il loro budget. Il capogruppo democratico, il californiano Henry A. Waxman, ha curato il rapporto che denuncia le interferenze sulla scienza, intitolato Politics and Science in the Bush Administration. Il documento rende nota un’inchiesta sulle nomine e il comportamento del governo Bush rispetto alla ricerca scientifica. I risultati sono a dir poco imbarazzanti. Se è normale nella politica americana – e non solo, basti pensare alle recenti nomine ai vertici del nostro Consiglio nazionale delle ricerche – sostituire i dirigenti degli enti scientifici e influire sui loro orientamenti, la maggioranza repubblicana – si legge nel rapporto – «è andata ben oltre tutto questo». L’interferenza politica sulla scienza ha dato luogo ad «affermazioni equivoche del presidente, risposte inadeguate al congresso, siti Web e informazioni alterate, rapporti delle varie agenzie federali soppressi, comunicazioni alla comunità internazionale errate», giù giù «fino all’intimidazione degli scienziati refrattari» a piegarsi alla nuova politica del conservatorismo compassionevole o alla lotta mondiale al terrorismo in versione Bush.
Ma l’aspetto forse più importante sottolineato nel rapporto, che va ben al di là della lotta ideologico-politica, è il fatto che le varie distorsioni scientifiche hanno tutte un aspetto comune: «chi ne beneficia sono sempre supporter importanti del presidente, inclusi importanti gruppi industriali conservatori».
La relazione (disponibile su www.politicsandscience.org) affronta più di venti temi scientifici influenzati dal comportamento del governo: dall’astinenza sessuale come panacea per malattie come l’Hiv al riscaldamento globale, che non sarebbe influenzato dal comportamento dell’uomo; dall’errata proclamazione di efficienza del programma missilistico «scudo stellare» alla politica di protezione delle aree naturali; dai criteri per l’acqua potabile alle norme sulla salute nei luoghi di lavoro. A sostegno delle loro accuse, i democratici elencano puntigliosamente una lunga serie di fatti, ordinandoli secondo tre grandi capitoli: manipolazione dei comitati scientifici consultivi, distorsione e soppressione dell’informazione scientifica, interferenza con la ricerca e l’analisi scientifica.
Le pressioni politiche sono tanto più gravi perché gli enti messi sotto scacco da Bush sono dei giganti in grado di determinare l’agenda globale su molti temi. Per citare i più noti: la Food and Drug Administration (Fda), che si occupa della sicurezza alimentare e dell’approvazione dei nuovi farmaci, l’Environment Protection Agency (Epa), l’agenzia federale per la tutela dell’ambiente, i Centers for Diesease Control (Cdc), laboratori specializzati per le malattie infettive, saliti all’onore delle cronache per la pandemia di Sars, i National Institutes of Health, l’istituto superiore di sanità americano. Tutti enti dotati di finanziamenti immensi, almeno per gli standard europei e di un prestigio scientifico riconosciuto in tutto il mondo.
Secondo le norme americane, il presidente ha il potere di incaricare le agenzie federali di occuparsi di determinati temi e può determinarne, in una misura ampia, l’agenda. L’unico ostacolo, decisivo, sono le decisioni e il relativo budget approvati dal Congresso. Ma in questo caso l’amministrazione si è spinta ai limiti dei propri poteri. Per esempio, nelle domande con le quali si richiedono i finanziamenti (grant) del Nih e del Department of Health and Human Services, il ministero della sanità americano, gli scienziati sono stati fortemente sconsigliati dall’usare parole come «transessuale», «scambio di aghi», «aborto», «efficacia del condom», «uomini che fanno sesso con altri uomini», «lavoratrici sessuali», pena uno scrutinio ben più severo delle loro richieste di fondi. In aggiunta, il ministero già nello scorso marzo lanciò una campagna di ispezioni, qualificate come indagini amministrative, nei laboratori pubblici che si occupano di ricerca sulle abitudini sessuali degli adolescenti, malattie infettive collegate al sesso, ricerche epidemiologiche di vario genere, politica del welfare sulle ragazze madri e così via.
Un’ondata neoconservatrice si è insomma abbattuta anche sulla comunità scientifica, tanto che le maggiori riviste del settore come Science, The Lancet e Nature hanno presentato con duri editoriali le proprie perplessità e critiche al comportamento del governo Bush.
La storia dei rapporti tra scienza e politica racconta da sempre la faticosa relazione tra due poteri e saperi che in più di un occasione si sono trovati in conflitto. E che tuttavia per funzionare correttamente hanno bisogno l’uno del sostegno dell’altro. Che le forze politiche e sociali condizionino la ricerca e la indirizzino secondo loro fini è ormai un fatto storicamente ed epistemologicamente acquisito. Si pensi al processo contro Galileo o alla ricerca scientifica nell’Unione Sovietica e sotto il nazismo hitleriano.
Diverso sarebbe il caso della scienza nelle democrazie. Ma forse non tanto, visti i risultati del rapporto e il recente bando alla ricerca sulle cellule staminali embrionali proclamato proprio dall’amministrazione Bush. Quel che è certo è che lo spazio pubblico aperto offerto storicamente dalle democrazie è vitale per la crescita di una scienza e di una politica responsabili verso la cittadinanza, sempre più bisognosa di risultati scientifici trasparenti e comprensibili, in base ai quali operare le proprie scelte politiche, culturali o, più banalmente, indirizzare il consumo di determinati alimenti o beni commerciali.