La battaglia sui brevetti farmaceutici è ormai ufficialmente chiusa. Ma non è escluso che già dal 2004 l’apparente tregua si infranga, almeno in parte: il rischio, dicono in molti, esiste. Con l’accordo raggiunto in ambito Wto poco prima del vertice di Cancun – che dal summit messicano dell’organizzazione del commercio attendeva solo la ratifica formale – lo scontro tra ricco Nord del Pianeta e Sud povero si è per il momento decisamente spostato su altri fronti, primo tra tutti l’agricoltura. Ai Paesi più poveri e ai loro milioni di malati – soprattutto nella disastrata Africa, devastata da Aids, malaria, tbc… – è stato “riconosciuto” il diritto di produrre direttamente o di importare da Paesi terzi produttori, come India o Brasile, farmaci identici a quelli ancora sotto brevetto in Occidente, a prezzi molto più bassi perché esenti dall’obbligo di pagare il copyright a chi li ha sviluppati.
«È stato un grande passo avanti, anzi un accordo storico, che dopo una lunga serie di veti incrociati permetterà ai cittadini dei Paesi in via di sviluppo di accedere ai farmaci coperti da brevetti delle multinazionali, a prezzi accessibili», commenta Gianni Marini, presidente di Zeneca Italia. «Mi rendo conto che restano delle complessità per l’attuazione dell’accordo, ma era inevitabile che questo avesse clausole e garanzie se si vuol permettere che le multinazionali continuino a fare utili e quindi investire in ricerca, sviluppando in continuazione nuovi brevetti che altrimenti non svilupperebbe nessuno – continua Marini -. Senza controlli si creerebbe un enorme mercato illegale di importazioni parallele».
«E comunque – aggiunge il presidente di Zeneca Italia – l’intesa raggiunta in agosto è frutto di un compromesso: le multinazionali avevano proposto inizialmente un programma di donazioni ai Paesi in via di sviluppo, che lo avevano respinto considerandolo un’elemosina e non il riconoscimento del diritto alla salute. Il Brasile e altri Paesi del Sud del mondo avevano a loro volta chiesto l’abolizione dei brevetti, cosa che l’industria non ha ovviamente accettato. Alla fine si è arrivati a questo compromesso».
In effetti, secondo fonti vicine ai recenti negoziati Wto sui farmaci, molti Paesi poveri hanno accettato clausole poco gradite nella speranza di ottenere di più su altri tavoli, agricolo a esempio. «Ma è fuori dubbio che l’accordo non va bene: troppo burocratico, troppo complicato, in realtà protezionista», sostiene Chiara Vannella, portavoce di Medici Senza Frontiere in Italia. L’ong d’origine francese, guidata a livello internazionale dal presidente Morten Rostrop, insieme a una decina di altre organizzazioni non governative internazionali tra cui Oxfam, Health Gap, e European AIDS Treatment Group, hanno appena lanciato una campagna per spingere tutti i Paesi poveri interessati a usare e applicare immediatamente l’accordo siglato in agosto, in modo da dimostrare praticamente cosa funzioni e cosa non funzioni e intervenire al più presto.
«In questo modo ci si potrà muovere forse già nel 2004, quando la Wto inizierà la revisione organica di tutta la normativa sui brevetti, e non solo farmaceutici», dice Medici Senza Frontiere, che denuncia in particolare la macchinosità del sistema di autorizzazione delle importazioni di farmaci e il fatto che a gestire e giudicare in merito sia la Wto, un’organizzazione per il commercio, e non l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) dell’Onu. «A esempio – dice Vannella – se il Malawi vuole importare farmaci retrovirali dall’India, deve prima dimostrare di non avere assolutamente industrie locali. Già se ne avesse una piccola e scalcagnata la Wto potrebbe aprire indagini, o imporre al Paese di produrre lì, magari a prezzi del tutto antieconomici. E poi si deve specificare esattamente il numero di malati, che nessuno sa, il fabbisogno preciso di farmaco. Sono leggi che sembrano essere state scritte apposta per lasciare discrezionalità, per rendere ambigui i termini e quindi ostacolare l’attuazione dell’accordo».
In realtà, ammette Marini «è un accordo che funzionerà solo a patto che nessuno faccia il furbo. Non lo deve fare chi potrebbe danneggiare il mercato esportando abusivamente in Occidente farmaci prodotti nei Paesi in via di sviluppo per essere usati solo in quei Paesi. E non lo devono fare le multinazionali dei farmaci – dice il presidente di Zeneca Italia – che si potrebbero irrigidire su alcuni temi dell’accordo facendo saltare tutto».