Strangolate dai debiti, messe all’ angolo dai finanziamenti per il Fondo sanitario che arrivano con il contagocce, molte Regioni hanno messo in conto la vendita ai privati degli ospedali. La Regione Lazio l’ ha già fatto due anni fa per colmare un buco di quattro miliardi di euro. Liguria e Puglia non negano di poter essere costrette ad adottare, in futuro, lo stesso provvedimento. In Sicilia la giunta Cuffaro ci ha provato lo scorso 5 novembre, poi, sommersa dalle proteste ha congelato l’ operazione. Ma la Regione qualcosa dovrà pur fare per coprire un deficit sanitario che ha ormai toccato i due miliardi e mezzo di euro. Per tutti sarà un 2004 a tinte fosche: tagli delle prestazioni ospedaliere, negli ambulatori, ticket più alti sugli esami diagnostici, stop ai viaggi della speranza. E bilanci sempre più in rosso per le Asl, già costrette a pagare i fornitori con ritardi fino a due anni. Proprio in questi giorni i governatori stanno tentando una disperata operazione: convincere Tremonti a modificare la Finanziaria alla Camera, pena il taglio doloroso ma necessario dei servizi sanitari. La situazione non è allegra: lo Stato è debitore di 15 miliardi di euro per il 2002 e il 2003 sui flussi di cassa concordati con le Regioni. Serve un altro miliardo per i 750 mila extracomunitari regolarizzati con la Bossi-Fini. Altri quattro per assicurare i livelli essenziali di assistenza a tutti i cittadini. Non tutte le Regioni sono con l’ acqua alla gola. «Teniamo sotto controllo le spese del personale e la farmaceutica. Stiamo lavorando sui servizi con i Consorzi di area vasta con risparmi che arrivano all’ 8 per cento – afferma l’ assessore alla Sanità della Toscana Enrico Rossi – i nostri conti sono positivi e senza mettere nessun ticket sui farmaci. I ricoveri ospedalieri sono diminuiti di 30 mila unità rispetto al primo semestre del 2002, mentre abbiamo già riorganizzato la rete ospedaliera. Certo, lo Stato ci deve dare 500 milioni di euro, ma vendere il patrimonio pubblico è un fatto gravissimo. La parola d’ ordine è: resistere, resistere, resistere. Al governo chiediamo: vuol mantenere il Servizio sanitario nazionale o intende farlo morire sommerso dai debiti?». In Sicilia la sanità pubblica non è ancora deceduta, ma è sicuramente in coma profondo. Per non sprofondare, gli amministratori dell’ isola hanno partorito un’ operazione di finanza creativa, chiamata «Sale and lease back». Le aziende ospedaliere vendono i propri immobili, compresi gli ospedali, attraverso un’ asta internazionale. Chi si aggiudica l’ asta non può cambiare la destinazione d’ uso e deve lasciare la gestione, in affitto o in leasing, alle Asl. Le Aziende sanitarie si impegnano a rimborsare in dieci anni il valore dell’ immobile, compresi gli interessi, e a riscattarlo col pagamento dell’ ultima rata. Un’ operazione azzardata e pericolosa, visto che l’ ipotesi di infiltrazioni mafiose non è poi tanto peregrina. Diversa la manovra di risanamento messa in campo dalla giunta Storace. La Regione Lazio, infatti, ha creato una società, la Gepra, che ha acquistato l’ intero patrimonio immobiliare delle Asl. E a partire dal 2000, la Regione ha iniziato a rimborsare all’ azienda le quote anticipate. Insomma, una partita di giro, per limitare il pauroso deficit della sanità laziale. «è vero, abbiamo venduto e poi riscattato gli ospedali, ora la verifica spetta al governo – dichiara il neo assessore alla Sanità Marco Verzaschi – resta aperto il problema degli immigrati regolarizzati. Tra noi e la Lombardia ne ospitiamo quasi il 70 per cento, aspettiamo la risposta di Tremonti». Il fronte dei governatori è compatto e non solo sul fronte immigrati. In prima linea anche il presidente Roberto Formigoni. La ricca Lombardia, che da sola incassa più di un settimo del Fondo sanitario nazionale ed ha puntato molto sui ticket, ha dovuto anticipare per la sanità quasi due miliardi di euro, pagando alle banche circa 200 milioni di interessi. Una situazione che sta diventando insostenibile anche per le Regioni virtuose come l’ Emilia Romagna. «Gli ospedali vanno tutelati e qualificati – commenta l’ assessore alla Sanità Giovanni Bissoni – mentre la cartolarizzazione è una forma d’ indebitamento futuro, dunque un impoverimento dell’ azienda. Altra cosa è utilizzare il patrimonio disponibile delle aziende sanitarie, non finalizzato ad usi assistenziali. Noi teniamo duro, razionalizziamo il sistema, ma non basta. L’ assistenza sanitaria pubblica ha bisogno di un flusso certo e puntuale di risorse. Niente di più di quello concordato con il governo. In caso contrario il 2004 sarà un anno nero per tutti».