Una strategia intelligente e diversificata, che punta al mercato dei generici. L’India ha avuto un ruolo fondamentale nella battaglia per la diffusione delle terapie anti-Aids nel mondo, e basta dare un’occhiata al tariffario per capire perché.Il prezzo statunitense per il 3TC (Lamivudina) della Glaxo è di 3.271 dollari a paziente ogni anno mentre le aziende indiane Cipla Ltd e la Hetero Drugs Limited offrono la versione generica rispettivamente per 190 e 98 dollari. Lo Zerit (Stavudina) della Bristol-Myer Squibb costa ai pazienti americani 3.589 dollari l’anno mentre la Cipla offre la versione generica della medicina a 70 dollari e la Hetero a 47, sempre annui e sempre per paziente. Stessa cosa per il Viramune (Nevirapina) commercializzato dalla Boehringer Ingelheim: 3.508 dollari comparate a 340 della Cipla e 202 della Hetero. Per la combinazione dei tre antiretrovirali la Cipla è arrivata ad offrire un anno di scorte per 350-600 dollari contro i 10-15.000 dollari necessari per comprare le medicine di marca. L’industria farmaceutica indiana sarà probabilmente la principale beneficiaria dello scadere dei brevetti ventennali, e non soltanto per quanto riguarda gli antiretrovirali. Il successo della farmaceutica indiana è frutto di una strategia intelligente e assai diversificata, che non punta soltanto al mercato dei generici ma, grazie a un abile recupero delle conoscenze tradizionali, mira a conquistare il redditizio settore delle cure alternative.
Il mercato globale delle medicine alternative viene stimato sui 70 miliardi di dollari l’anno, e l’India è una delle principali fonti di approvvigionamento delle piante mediche, che già costituiscono lo 0,2 per cento delle sue esportazioni. Ma, se fino a questo momento il subcontinente è stato terreno di caccia delle transnazionali farmaceutiche, da qualche tempo è lo stesso governo indiano a lanciare un’iniziativa per recuperare i profitti della biopirateria ed espandere le esportazioni. Uno dei principali propulsori di questo cambiamento è D. N. Tewari, membro della commissione per la pianificazione indiana che delinea, applica e finanzia i piani quinquennali relativi all’assistenza sanitaria. «Credo che l’India sia in grado di dominare il settore delle cure alternative» ha dichiarato al “Financial Times”, «un settore che potrebbe diventare anche più importante delle esportazioni indiane di tecnologia informatica. Il nostro obiettivo è di avere esportazioni per 2 miliardi di dollari entro il 2003 e 4 miliardi entro il 2010».
Alcuni pionieri si sono già lanciati nelle esportazioni. Das Gupta, amministratore della Herbicure, ha fondato la sua compagnia due anni fa per produrre e commercializzare i trattamenti ayurvedici, principale medicina tradizionale indiana. «Come capo di un’impresa» ha dichiarato Gupta «voglio documentare le conoscenze su cui si basano le medicine alternative. La farmacologia dei prodotti ha bisogno di essere stabilita e presentata per consentire all’India di diventare competitiva a livello internazionale». Questo comporta elencare l’esatta quantità di ingredienti contenuti in ogni prodotto e utilizzare strumenti di misura molto precisi nella produzione su larga scala, piuttosto delle misure approssimative che vengono impiegate nei dispensari dei villaggi. Bisogna inoltre testare tutti gli effetti collaterali e spiegare come il prodotto deve essere usato.
Per questo motivo l’India ha già cominciato a muoversi verso la standardizzazione dell’industria: è stato istituito un registro nazionale per selezionare le piante mediche, monitorare la coltivazione e regolare la loro trasformazione in farmaci. Sono già stati standardizzati 250 composti medici vegetali e due dozzine hanno già passato i trials clinici che rispettano gli standard internazionali approvati dall’Oms.