Duro, analitico, vero, l’editoriale che la rivista Lancet ha dedicato alla rottura del nostro sistema di salute (febbraio 2025). Quando Nadir richiamava l’anno scorso a una più attenta politica sanitaria di collaborazione, il nostro ETS a volte criticato, ottenne una marea di consensi e firme in poche ore dalla pubblicazione di un comunicato stampa. Ma il Ministro non rispose alla richiesta di incontro. Ormai essere membro di un CTS che non deve essere convocato, appare più simile a una nomina a commendatore che una posizione di supporto a un’epidemia che dovrebbe essere primario per l’amministrazione pubblica.
Nel 2017 la ex Direzione Generale della Prevenzione del Ministero della Salute aveva convocato un gruppo di lavoro (cui partecipai) per tentare di definire un sistema italiano di PDTA. Il coordinatore, presidente di SIMIT, dopo poche ore, ammise che con il quadro che avevamo di fronte, potevamo fare solo una breve relazione al Gabinetto per avvisare che, in mancanza di un sistema informatico centralizzato, non saremmo riusciti a produrre altro che aria fritta.
Di seguito l’editoriale di Lancet, febbraio 2025:
Il Sistema dati della salute in Italia si è rotto
Si prevede che la popolazione italiana diminuirà di circa l’8% entro il 2050, passando da 59 milioni nel 2022 a 54,4 milioni a causa dell’invecchiamento crescente e del calo del tasso di natalità. Entro il 2050, oltre il 35% degli italiani avrà più di 65 anni, mentre i bambini di età inferiore ai 14 anni rappresenteranno solo l’11,7% della popolazione. Senza riforme, questo cambiamento demografico metterà a dura prova i sistemi sanitari e sociali.
Una delle principali debolezze del sistema sanitario in Italia è l’assenza di un sistema unificato e centralizzato della raccolta dei dati e la condivisione delle cartelle cliniche elettroniche (EHR) dei medici di base.
La causa principale è l’ampia autonomia regionale che opera in modo indipendente e implementa politiche e tecnologie diverse, creando frammentazione normativa e inefficienze. La scarsa interoperabilità tra regioni e ospedali, oltre alla mancanza di sistemi di caricamento automatico dei dati nelle cliniche private, compromette l’efficacia del Fascicolo Sanitario Elettronico, il sistema nazionale italiano di EHR progettato per tracciare le storie cliniche dei pazienti, rendendolo ampiamente inefficace a causa di questi difetti strutturali.
A complicare la situazione c’è l’assenza di una politica nazionale per allocare equamente le risorse a tutte le regioni o stabilire protocolli standardizzati per la raccolta e il trasferimento dei dati. Molti ospedali e strutture continuano a fare affidamento su sistemi obsoleti e incompatibili, rendendo il trasferimento delle cartelle cliniche dei pazienti e delle immagini diagnostiche manuali e ad alta intensità di manodopera, anche all’interno della stessa regione o città. L’assenza di standardizzazione impedisce la creazione di registri nazionali, ostacolando l’assistenza efficace e la gestione delle crisi.
Le conseguenze di questo sistema frammentato sono profonde. Durante la pandemia di COVID-19, ha ritardato l’identificazione dei collegamenti tra comorbilità e gravità dell’infezione, esacerbando le disparità regionali nella capacità e nei risultati dell’assistenza sanitaria. Un sistema meglio integrato avrebbe potuto consentire analisi più ampie, approfondimenti generalizzabili e supportare una risposta nazionale più efficace e coordinata.
Un sistema così frammentato non solo delude la popolazione italiana, ma impone anche un notevole onere economico al Paese. I pazienti delle regioni meridionali, che in genere hanno risorse più limitate, si recano in ospedali del Nord meglio attrezzati per le cure. Tuttavia, a causa della mancanza di sistemi interoperabili, gli ospedali del Nord spesso non riescono ad accedere alle cartelle cliniche dei pazienti, con conseguenti test diagnostici ripetuti e ritardi nelle cure. Questa duplicazione aumenta i costi (la sola mobilità sanitaria interregionale ammonta a circa 3,3 miliardi di euro all’anno) e compromette i risultati per i pazienti.
Il sistema in vigore presenta anche notevoli sfide per la ricerca. Senza una piattaforma centrale, i ricercatori devono presentare domanda ai comitati etici e per la privacy delle singole istituzioni, che possono respingere le richieste senza una giustificazione scientifica sostanziale.
Dal 2009, la percentuale di studi autorizzati sul totale è scesa al 15%, segnando un calo significativo. Inoltre, la raccolta dati è spesso manuale e di scarsa qualità, rendendo quasi impossibile condurre studi multicentrici di alta qualità, ostacolando gravemente la generazione di risultati generalizzabili e di impatto.
Nel 2022, l’Italia ha speso 1,8 miliardi di euro per l’assistenza sanitaria digitale, con un aumento del 7% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, non è ancora chiaro se questi fondi siano stati utilizzati appieno e come siano stati spesi, in particolare in relazione alle cartelle cliniche elettroniche e all’integrazione dei sistemi sanitari regionali e nazionali, poiché solo il 42% delle cliniche ha dichiarato di avere un sistema di acquisizione dati elettronico attivo in tutti i reparti.
La sfiducia pubblica nel governo aggrava il problema, con oltre 90.000 italiani che si rifiutano di condividere i propri dati sanitari a causa di problemi di Privacy, un sentimento amplificato durante la pandemia di COVID-19. Mentre l’Europa ha adottato la cosiddetta base giuridica dell’interesse legittimo, consentendo l’uso dei dati sanitari per la ricerca e l’innovazione senza basarsi esclusivamente sul consenso individuale, la legislazione restrittiva e la frammentazione regionale dell’Italia ostacolano questi sforzi, non riuscendo a bilanciare i diritti alla privacy con l’interesse pubblico a migliorare l’assistenza sanitaria.
Una riforma appena proposta minaccia di peggiorare ulteriormente la situazione. La legge sull’autonomia differenziata, se approvata, decentrerà ulteriormente la governance sanitaria, approfondendo la frammentazione e le disparità tra le regioni invece di promuovere una raccolta e una condivisione armonizzate dei dati.
L’armonizzazione legislativa a livello nazionale è essenziale per stabilire una rete di dati sanitari unificata in Italia. Questo approccio supporterà l’interoperabilità dei dati, la telemedicina e la digitalizzazione del Servizio Sanitario, sfruttando al contempo iniziative europee come il Data Governance Act, che promuove la condivisione sicura ed etica dei dati, l’European Health Data Space, che mira a consentire l’assistenza sanitaria transfrontaliera e promuovere la ricerca, e l’AI Act, che mira a regolamentare un’intelligenza artificiale affidabile e trasparente nell’assistenza sanitaria.
Il sistema di dati sanitari presenta anche notevoli sfide per la ricerca. Senza una piattaforma centrale, i ricercatori devono fare domanda ai comitati etici e per la privacy delle singole istituzioni, che possono respingere le richieste senza una giustificazione scientifica sostanziale. Dal 2009, la percentuale di studi autorizzati sul totale è scesa al 15%, segnando un calo significativo. Inoltre, la raccolta dei dati è spesso manuale e di scarsa qualità, rendendo quasi impossibile condurre studi multicentrici di alta qualità, ostacolando gravemente la generazione di risultati generalizzabili e di impatto. Nel 2022, l’Italia ha speso 1,8 miliardi di euro per l’assistenza sanitaria digitale, con un aumento del 7% rispetto all’anno precedente.
Tuttavia, non è ancora chiaro se questi fondi siano stati pienamente utilizzati e come siano stati spesi, in particolare in relazione alle cartelle cliniche elettroniche e all’integrazione dei sistemi sanitari regionali e nazionali, poiché solo il 42% delle cliniche ha dichiarato di avere un sistema di acquisizione dati elettronico attivo in tutti i reparti.
La mancata normalizzazione acuirà le disuguaglianze, ritarderà i trattamenti e ostacolerà i progressi, mentre la priorità alla riforma sistemica avrebbe offerto all’Italia l’opportunità di soddisfare richieste di assistenza sanitaria equa ed efficiente.