Abbiamo chiesto al Dr. Lupoli, in qualità di esperto di indagini sull’utilizzo dei prodotti antiretrovirali per il trattamento dell’HIV, di farci un quadro della situazione dell’epidemiologia italiana, secondo i suoi termometri, un po’ più raffinato rispetto ai dati pur importanti che vengono diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità, dati che hanno il problema di essere spesso non proprio aggiornatissimi e comunque ristretti ai casi segnalati di AIDS. Proponiamo, in anteprima, alcuni estratti dell’intervista che sarà pubblicata integralmente sul prossimo numero di Delta.
Delta: Cosa è emerso dalla sua indagine ?
Dr. Lupoli. dall’indagine è emerso che in Italia ci sono circa 60.000 persone HIV-positive “attivamente seguite” nelle strutture ospedaliere di cui 45.000 trattati con terapia. Nel 2004 ci sono state circa 2.000 nuove diagnosi di HIV, di cui la metà con paziente già sintomatico, e 1.500 pazienti hanno iniziato la terapia per la prima volta. Secondo il 50% dei medici intervistati questo numero non è aumentato nell’ultimo anno, il 40% invece pensa di si.
Delta: Questo significa dunque che la percentuale di “sommerso” rispetto alla diagnosi di HIV-positività è ancora molto alta…
Dr. Lupoli. Sì. Le stime che si ritengono verosimili sono di circa altrettante 60.000 persone HIV-positive non ancora seguite in nessun centro e probabilmente non diagnosticate. Si tratta di individui che non fanno il test perchè non si sentono a rischio. Questo fa pensare che il trend verso una più frequente trasmissione eterosessuale e verso diagnosi di pazienti già sintomatici sia destinato a proseguire.
Delta: A suo giudizio, in Italia c’è “dinamismo terapeutico” nella terapia contro l’HIV?
Dr. Lupoli. Possiamo indagare, come mai ci sono degli “switch”, ossia dei cambiamenti di terapia. Posso concludere che di tutti gli switch di farmaco, il 36% è dovuto a fallimento virologico o immunologico della terapia precedente, il 24% per tossicità del precedente regime o per prevenirla nel nuovo regime (8%), il 28% per semplificazione della terapia (riduzione del numero di compresse e/o di somministrazioni giornaliere). Il 4% per altri motivi. Grazie all’arrivo di molti farmaci once-a-day (a somministrazione di una volta al giorno) il numero degli switch per semplificazione sta aumentando in modo esponenziale.
Delta: L’utilizzo degli IP nel nostro paese, è un utilizzo “moderno”, ossia con l’utilizzo di ritonavir come booster, oppure è ancora un utilizzo senza booster ?
Dr. Lupoli. Si, direi di si. Praticamente tutte le nuove prescrizioni di inibitori della proteasi sono fatte in associazione a minidosi di ritonavir, con l’eccezione di nelfinavir. Questo però non vuol dire che non esistano molti pazienti ancora in terapia con IP non boosterato “vecchia maniera”. Molte volte sia il medico che il paziente non desiderano toccare una terapia che funziona bene, anche se non è più lo stato dell’arte.
Delta: Rispetto agli infettivologi intervistati, quali sono i farmaci giudicati “più interessanti”, e secondo lei per quale ragione ?
Dr. Lupoli. Il prodotto giudicato più interessante in questo momento è l’inibitore delle proteasi (IP) atazanavir (55% degli specialisti intervistati). Probabilmente il fatto che venga somministrato una volta al giorno con booster di ritonavir è considerato un’ottima opzione verso la semplificazione. L’enfuvirtide (28%) suscita interesse in quanto adatto alle persone che hanno molte resistenze e molti problemi con gli effetti collaterali. Per il futuro si rileva attesa per il prossimo IP che sarà sul mercato, ossia tipranavir. Il TMC-114 è ancora percepito come prodotto lontano, ma certamente i clinici che seguono di più i congressi lo attendono con entusiasmo, visto i recenti dati presentati al CROI di Boston.