Quali sono i veri interessi di Joep Lange, che recentemente ha esternato ad ampio raggio su proteste di gruppi di attivisti in merito a studi su profilassi pre-esposizione e su nuovi farmaci ? Lange accusa gli attivisti di fermare la scienza…a scapito di possibili soluzioni alla pandemia dell’HIV. Ma c’è forse qualche cosa dietro ? Proponiamo una ipotesi di lettura.Non può passare inosservata la critica di Joep M. A. Lange a certi gruppi di attivisti che hanno fermato alcuni studi ritenuti “non etici” in Europa ed in paesi in via di sviluppo riguardanti la “profilassi pre-esposizione” e la sperimentazione su nuovi farmaci (anti-CCr5). Quello che stupisce molto sono le basi della critica. Non deve certamente essere spiegato alle persone HIV-positive il dramma dell’AIDS a livello globale: esse sanno bene, purtroppo, il numero di morti che questo virus sta provocando.
IL FATTO:
Joep Lange accusa certi gruppi di attivisti (pur vero estremisti), che operano nel mondo dell’AIDS, di avere fatto sì che studi di profilassi “pre esposizione” (PREP, ossia l’utilizzo a livello preventivo di farmaci antiretrovirali per l’eventuale prevenzione dell’infezione) e alcuni studi su nuovi farmaci (gli anti CCR5) siano stati bloccati oppure non permessi in certi stati (ndr.: mette insieme due argomenti molto distinti e con problematiche altrettanto differenti). Egli addice motivazioni quali: la terribile pandemia dell’HIV che non può essere fermata solo con i profilattici, il fatto che alcuni clinici si erano premuniti di valutare questi studi. Evidenzia inoltre come le organizzazioni di pazienti siano frammentate e non unitarie e le invita a “federarsi”. Conclude dicendo come questi atteggiamenti siano lesivi … per l’umanità, dicendo che nel mondo della medicina non si è mai vista una attività ed una mobilitazione dei “malati” come quella che accade nel mondo dell’AIDS.
CONSIDERAZIONI:
E’ certamente vero che sono molte le organizzazioni no profit patient-based che operano nel campo dell’AIDS: diverse ispirazioni, diverse origini, diversi campi di intervento. Questo comporta che talvolta le posizioni assunte in merito a certe questioni siano non sempre omogenee: Nadir, per esempio, e Delta lo testimonia, è sempre stata a favore dello sviluppo di qualunque tecnologia preventiva, tra cui la citata PREP: condizione sine qua non è l’eticità degli studi. E’ anche vero che pure nel mondo clinico mondiale le opinioni sulla terapia antiretrovirale sono differenti: basti pensare al fatto che ogni paese ha diverse linee guida per il trattamento delle persone HIV-positive come ogni paese ha delle autorità regolatorie differenti. Quindi non si può certo affermare la peculiarità delle associazioni di pazienti nel fatto di essere frammentate.
Di seguito alcune considerazioni per punti:
1) E’ opportuno ricordare in questa sede che la mobilitazione mondiale per lo sviluppo di una qualunque tecnologia preventiva non sarebbe ai livelli a cui è ora senza il diretto intervento dei pazienti. I principali network che consentono lo sviluppo di trials, per esempio, vaccinali, sono nati ed ispirati proprio da persone HIV-positive. Invece di accusare il network delle organizzazioni no-profit, ci sarebbe invece da chiedersi come mai esse non siano state coinvolte sin dall’inizio nel disegno e nell’operatività degli studi PREP in questione: se questo fosse accaduto, probabilmente, si sarebbe ora ad un punto ben più avanzato, senza mettere a rischio le persone HIV-positive in paesi dove i sistemi sanitari non consentono la cura ed il trattamento degli arruolati in studi di questo tipo.
2) Ricordiamo anche che, se nel 2005 abbiamo fortunatamente raggiunto uno standard di cura della patologia, questo è anche grazie alla mobilitazione che più di 10 anni fa le persone HIV-positive hanno avuto nei confronti delle case farmaceutiche e delle autorità regolatorie per l’approvazione accelerata di certi farmaci: il sangue per quelle sperimentazioni l’hanno messo proprio i diretti interessati. Se si è arrivati al giudizio che alcuni studi sui CCR5 erano lesivi per “eticità”, questo è principalmente dovuto alla sordità delle case farmaceutiche rispetto le legittime richieste di non sottoporre a rischi inutili le persone con HIV e al sorprendente atteggiamento di alcuni clinici che hanno approvato dei protocolli di ricerca senza porsi il problema dello stato dell’arte della terapia antiretrovirale.
3) Ricordiamo infine che nessuna organizzazione/associazione ha, per partito preso, delle posizioni estremiste: lo strumento del dialogo e del confronto è ritenuto da tutte le NGOs “strumento maestro” per lo sviluppo di nuovi farmaci e nuove strategie. E’ quindi molto facile ed ipocrita accusare le associazioni di “ingerenza in campo clinico”, senza essersi posti dei problemi di coinvolgimento delle stesse fin dall’inizio. Stupisce molto il fatto che chi accusa sa bene che prima o poi i nodi vengono al pettine e le organizzazioni di lotta all’AIDS, comunque, hanno il dovere etico di intervenire nel momento in cui ci sono gli estremi di “situazioni di oggettivo pericolo” per le persone con HIV. Come mai non viene usata la stessa energia nel proporre grandi studi collaborativi, indipendenti, di strategia terapeutica, visto il fatto che ci troveremo da qui a tre anni ad avere a disposizione nuove molecole che potrebbero ridisegnare completamente il panorama del managment della terapia antiretrovirale ? I piccoli studi registrativi, fondati su disegni “tradizionali”, non riusciranno certamente a rispondere a domande che forse è opportuno porsi sin da ora.
Tutte le organizzazioni di lotta all’AIDS promuovono ed incentivano nuove strategie per il contenimento e la cura dell’infezione da HIV: condizione essenziale è la salvaguardia dei volontari. Un percorso decennale ha garantito alle persone HIV-positive un pieno ruolo riconosciuto a livello mondiale su questo aspetto. Certamente non è ora di cederlo in nome di non si capisce bene quali ideali. Lo via del dialogo tra pazienti-clinici e ricercatori (siano essi pubblici o privati) è quella da seguire ed è quella che storicamente ha generato la situazione in cui siamo ora: una terapia standard, con pure tanti problemi, che però garantisce la sopravvivenza. Interrompere questo schema o pensarlo superato non gioverà a nessuno: ecco perché, invece di fare critiche che suonano “un po’ superbe”, sarebbe opportuno costruire alleanze strategiche ed intelligenti per il prossimo decennio.