DELTA INTERVISTA IL PROF. AIUTI. Come tutti sanno, nella maggior parte delle persone con infezione da HIV sottoposte a terapia antiretrovirale, ad una diminuzione di viremia plasmatica (successo virologico) corrisponde un aumento di cellule CD4 nei i 3-6 mesi seguenti. Una percentuale dei pazienti però (tra il 5 e il 27%) continua ad avere un numero di CD4 basso (insuccesso immunologico), nonostante abbia carica virale bassa per un lungo periodo di tempo. Fonte: Delta n. 24Il problema
Dato che la diminuzione di cellule CD4 può, nella maggior parte dei casi, significare una maggiore esposizione alle infezioni e ad altri virus, vi è una generale preoccupazione che queste persone cui non avviene il previsto aumento di CD4, possano essere soggette a malattie e progredire più velocemente verso l’AIDS. I livelli bassi di CD4 in persone con viremia plasmatica non rilevabile possono presentarsi per diverse ragioni o per una combinazione di ragioni quali l’aumento di cellule CD4 morte e la produzione ridotta di nuove cellule nel timo. Nel tentativo di scoprire ragioni e meccanismi di tale “discordanza” sono stati elaborati vari studi, uno di essi (Benveniste O et al.) è stato di recente pubblicato su The Journal of Infectious Diseases 191, electronic edition, 2005.
I ricercatori hanno scoperto che questa categoria di persone mostra una diminuzione della proporzione di cellule CD4 naive ed un aumento della proporzione di cellule CD4 memori, rispetto a quella dei pazienti il cui numero di CD4 aumenta in tempi ragionevoli. E’ stata inoltre notata l’evidenza di un minore numero di cellule CD4 prodotte dal timo in quanto la ghiandola timica svolge le sue funzioni in modo insufficiente.Altro elemento riscontrato è quello dell’apoptosi cellulare, ovvero della morte spontanea delle cellule. L’apoptosi potrebbe essere dovuta alla persistente replicazione virale in alcuni siti forse inaccessibili alla misurazione.
Sono state anche analizzate le risposte ad alcuni antigeni (citomegalovirus, candida, tubercolosi e tetano) e, da parte delle persone con numero di CD4 inferiore, si è riscontrata una risposta minore solo nella tubercolosi. Ciononostante, continua lo studio, malgrado il numero basso di CD4, le risposte cellulari ad alcuni antigeni sembrano efficienti in modo analogo a quelli delle persone con CD4 elevati.
Lo studio conclude sostenendo che, se le risposte agli antigeni sono efficienti in modo analogo, le persone con un ritardo o con una risposta di CD4 non adeguata non dovrebbero essere esposte a maggiori rischi di malattie opportunistiche delle persone con risposta immunologica adeguata.
Inoltre, nonostante lo studio non comporti specifiche raccomandazioni per la pratica clinica, i ricercatori suggeriscono di approfondire il ruolo dell’interleukina-2 nell’aumento delle cellule CD4.
DELTA: Prof. Aiuti, nella Sua esperienza di clinico, ha riscontrato spesso il problema della non-risposta immunologica nelle persone con viremia plasmatica non rilevabile o bassa?
La vera definizione di persone che non hanno una ricostituzione immunologica dopo la HAART (terapia antiretrovirale altamente efficace) deve essere strettamente collegata ad una viremia non rilevabile, altrimenti la mancata risposta potrebbe essere causata dall’azione del virus HIV che continua a distruggere i linfociti CD4. Infatti non sempre esiste una stretta correlazione tra livello della viremia e danno immunologico e quindi una viremia, anche se bassa, potrebbe causare il danno immunologico. Fatta questa premessa il numero delle persone che non risponde dal punto di vista immunologico è attorno al 20-25 % . Ci sono differenze tra i vari ricercatori nelle definizione di non responders, in quanto alcuni considerano una mancata risposta quando dopo sei mesi di terapia antivirale il numero dei linfociti CD4 resta inferiore al 5 % rispetto al valore basale, altri ritengono deficitaria la risposta se non si ottiene un aumento fino al 20 % rispetto al tempo zero.
DELTA: Prof. Aiuti, quali sono secondo Lei le principali cause della non-risposta immunologica?
Il fattore prevalente è rappresentato dal nadir dei CD4 che la persona ha presentato nella sua storia prima dell’inizio dell’HAART. In genere riguarda i soggetti che scoprono di essere HIV positivi quando si ammalano e spesso per queste persone l’inizio della terapia avviene troppo tardi. Infatti sono a grave rischio di diventare immunological non responders oppure poor responders quei soggetti che iniziano la HAART sotto il fatidico numero di 200 cellule /mm3. Ma non si possono fissare regole precise perché alcune persone, anche se iniziano a valori più bassi di CD4, riescono a recuperare,mentre altri con valori più elevati restano non responders.
Un secondo aspetto riguarda la durata dell’infezione da HIV e il periodo nel quale i soggetti sono restati a lungo con valori bassi di CD4 , chiamiamola durata della grave immunodeficienza. Se una persona rimane per alcuni anni con valori di CD4 compresi tra 350 e 200, la situazione è più grave rispetto a persone che hanno valori compresi tra 400 e 600.
Un terzo aspetto riguarda l’età dei soggetti: se l’età dei sieropositivi è molto avanzata, si avrà una risposta immunologica più scarsa rispetto ai soggetti giovani.
Un quarto fattore negativo può essere rappresentato dalla coinfezione HCV-HIV od altre infezioni croniche latenti quale la TBC,il CMV o l’EBV.
Da non trascurare anche lo stress immunologico causato dalla terapia intermittente. Voi sapete come la penso io da anni ed i fatti mi stanno dando ragione. Se il sistema immunitario viene continuamente sottoposto a forti cariche viremiche che creano una apoptosi massiva cellulare, si esauriscono i cloni cellulari, e quindi si ricrea, ogni volta che si sospende la terapia antivirale, una nuova infezione da HIV con le conseguenze di continuo peggioramento delle riserve timiche e midollari. Perché distruggere il sistema immunitario che purtroppo non è inesauribile se si ha la possibilità di preservarlo grazie a farmaci? Il problema della tossicità da farmaci, oggi che abbiamo 15 farmaci antivirali a disposizione e quindi possiamo eventualmente cambiare lo schema terapeutico per ridurre la tossicità, non è più un elemento valido per sospendere la terapia.
DELTA: Tutte le persone che si sottopongono a terapia antivirale hanno come obbiettivo quello di aumentare i CD4 e diminuire la carica virale. Vi è un modo per prevenire almeno l’insuccesso immunologico?
Iniziare la terapia antivirale a valori di CD4 che non siano mai inferiori a 350/mm3, inoltre penso che in alcuni casi di forte replicazione virale e con ceppi particolarmente virulenti, si debba iniziare anche prima, come si faceva alcuni anni fa, attorno a 450 –500. Queste regole valgono specie per soggetti con età avanzata e per le persone che mostrano una rapida caduta dei CD4.
DELTA: Prof. Aiuti, ritiene che vi siano rischi aggiuntivi per una persona che non risponde in tempi brevi con l’aumento di CD4?
Il rischio è quello di avere la serie di infezioni batteriche, virali e fungine anche a valori non considerati a rischio, esempio CD4 > di 200. In questi casi è bene iniziare subito la profilassi antinfettiva. Un altro aspetto riguarda il possibile esaurimento delle cellule midollari. Stiamo lavorando su questo problema con un progetto di ricerca a tutto campo e ritengo che la capacità rigenerativa delle cellule staminali del midollo osseo sia molto importante insieme al timo.
DELTA: Prof. Aiuti, dato che le linee guida di terapia indicano l’inizio tra i 200 e i 350 CD4, ritiene rischiosi questi valori per le persone che potrebbero non rispondere con un aumento di CD4 veloce?
Io sono stato sempre contrario ad iniziare la terapia antivirale a valori inferiori a 350 ed alla terapia intermittente che al suo esordio era stata lanciata anche in soggetti con CD4 al limite della capacità di recupero immunologico. Purtroppo non sono stato ascoltato ed ora i fatti ora mi danno ragione. Il problema è legato ad una estrema sudditanza dei nostri colleghi infettivologi alle mode inglesi ed americani o canadesi. Quando un gruppo di leader, talora mossi solo dall’intento di cambiare e dire qualcosa di nuovo, parte con una nuova strategia non si riesce più a fermarli. Probabilmente la risposta sta nel tipo di formazione di questi colleghi che sono spinti da convinzioni errate e soprattutto che non ci sono immunologi nel panel degli esperti, sono tutti virologi e clinici infettivologi.
Gli immunologi si limitano a fare lavori di base, ma non hanno avuto mai un ruolo importante nella gestione dei pazienti HIV positivi. Numerosi soggetti, specie anziani o adulti in età avanzata, con coinfezione di HIV ed HCV o coinfezioni potenziali con altri virus (CMV,EBV, Herpes), se iniziano la terapia antivirale in fase tardiva, sono a rischio di diventare immunological non responder.
Noi abbiamo anche visto recentemente un altro fenomeno allarmante per alcuni soggetti: ci sono persone che hanno una risposta iniziale del 20-30 % dei CD4 , ma poi, dopo un anno, si fermano e non riescono ad aumentare il livello anche dopo anni di terapia antivirale efficace. Questi sono destinati in futuro ad avere maggiori problemi nel corso degli anni. Noi li definiamo persone con arresto della risposta immunologica e quindi con difetto parziale permanente.
Vi è infine un altro aspetto fondamentale dovuto alla carenza delle cellule naive. Questi soggetti nel futuro possono avere un deficit qualitativo della risposta ai neoantigeni. Insomma, non bisogna guardare solo la quantità dei CD4 ma soprattutto la qualità della risposta che dipende da numerosi fattori immunologici. Nei prossimi anni troveremo soggetti HIV positivi che, pur mostrando un recupero immunologico quantitativo adeguato (incremento dei CD4), potranno presentare un difetto qualitativo della risposta immunitaria e che dal punto di vista clinico presenteranno una maggiore ricorrenza di infezioni anche non opportunistiche, pur avendo i linfociti CD4 in numero normale. Per questi soggetti è importante programmare in futuro una strategia vaccinale specie diretta a prevenire infezioni dell’apparato respiratorio.
Noi immunologi definiamo questi soggetti come portatori di un difetto immunologico qualitativo. Il problema è sicuramente meno grave tra quelli finora discussi, ma esiste e andrà affrontato.
DELTA: Prof. Aiuti, ritiene che le citochine svolgano un ruolo in questo processo di restaurazione dei CD4? In particolare, Lei suggerirebbe di intervenire con IL-2 nel caso un Suo paziente continuasse a diminuire il valore di CD4?
Esistono due grandi progetti multicentrici in corso sulla IL-2 in HIV positivi: uno l’Esprit e l’altro il Silcat. Non abbiamo ancora la risposta conclusiva. In pazienti singoli, con un numero di CD4 stabile < di 200/mm3 e con viremia non rilevabile da molti mesi, tenuto conto della tollerabilità e del costo del farmaco, io proverei, con il parere favorevole del comitato etico dell’Ospedale, la terapia con IL-2 per alcune settimane. In caso di risposta favorevole continuerei, ma solo se la viremia resta non rilevabile. Una stimolazione dei linfociti con IL-2 in presenza di uno stimolo virale è troppo pericolosa e potrebbe causare danni al sistema immunitario.
Prof. Fernando Aiuti
Ordinario di Medicina Interna e Immunologia Clinica -Università La Sapienza
Coordinatore Centro di Riferimento Regionale Immunodeficienze
Azienda Policlinico Umberto I Roma