L’esame è stato studiato per la prima volta al Policlinico di Modena. Una ricerca effettuata dalle Malattie dell’Apparato Respiratorio del Policlinico, diretta dal professor Leonardo Fabbri ha dimostrato, per la prima volta nel mondo, l’utilità dell’uso clinico di un nuovo test per la diagnosi dell’infezione tubercolare latente, che, a differenza del tradizionale test di Mantoux (la tubercolina), si basa sull’identificazione di una molecola (l’interferone gamma) prodotta solo dai linfociti di soggetti infetti.
Lo studio, coordinato dal professor Luca Richeldi, è stato condotto in collaborazione con il Laboratorio di Microbiologia e Virologia – diretto dal dottor Claudio Rumpianesi – la Pediatria – diretta dalla professoressa Fiorella Balli – e la Direzione sanitaria. I risultati sono stati pubblicati sul numero di settembre della prestigiosa rivista American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine. Sono anche consultabili on-line all’indirizzo http://ajrccm.atsjournals.org/.
La tubercolosi è tornata ad essere un problema globale nei Paesi occidentali a causa sia dei flussi migratori provenienti dai Paesi in via di sviluppo, sia dell’aumento delle terapie immunodepressive. Molto pericolosa, perchè di diagnosi difficile, è l’infezione tubercolare latente legata, cioè, a una condizione di quiescenza del microbatterio tubercolare che può successivamente svilupparsi causando la malattia attiva.
Lo studio modenese ha valutato oltre 300 pazienti, confrontando i risultati dei test QuantiFERON-TB e Mantoux per otto mesi. I risultati sono poi stati relazionati con la diagnosi clinica definitiva ed i dati microbiologici.
La concordanza tra i risultati dei due test è risultata molto elevata. Nel complesso, però, il QuantiFERON-TB è risultato essere più attendibile della tubercolina che – basandosi sull’iniezione nella cute di materiale derivato dal microbatterio tubercolare – può dare risultati falsamente negativi in persone con sistema immunitario non competente, come i neonati, e falsamente positivi in soggetti vaccinati con BCG (quasi un quinto della casistica), che rischiano così profilassi farmacologiche inutili e potenzialmente dannose.
Infine, il nuovo test, misurando la risposta del sistema immunitario, permette, pur con alcune limitazioni, di identificare l’infezione anche nei pazienti immunocompromessi, quelli più a rischio di complicanze infettive.
Partendo dai risultati dello studio, i ricercatori del policlinico sono già al lavoro per valutare le ulteriori potenzialità del nuovo test. I risultati saranno infine discussi, a gennaio 2006, nel corso di un Convegno internazionale che si terrà al Policlinico.