Tratto da Delta n. 26 (Editoriale) – Abbiamo deciso di rispondere a questa domanda tentando di fare appello alle nostre esperienze nel campo della patologia in cui operiamo, l’HIV/AIDS, sperando che le considerazioni che faremo possano essere condivisibili ed esportabili.
I dizionari che abbiamo consultato non aiutano: paziente e malato, chiaramente sostantivi, vengono utilizzati come sinonimi. Eppure qualche cosa dentro di noi non ce li fa sentire come tali. Il comune denominatore trovato tra questi termini è sempre il concetto di persona. E’ chiaro che entrambe le parole si riferiscono inequivocabilmente ad una persona che ha una patologia. Una patologia, ossia una malattia, è qualche cosa che accade a qualunque essere umano. Essa può essere più o meno grave, più o meno lunga.
La cultura che abbiamo acquisito in questi anni, forse un po’ anglosassone, ci ha infuso il concetto inequivocabile di persona che ha un “problema di salute”: affrontare questo problema, convivere con esso, per un periodo di tempo lungo o corto, talvolta anche per tutta la vita, è la sfida della trasformazione del “problema” in “situazione” in cui una “persona” si ritrova.
PLWHA, in inglese People Living With HIV & AIDS. Questa terminologia fa sentire tutti a proprio agio.
Malato, persona che ha una malattia: l’accezione di questo termine è molto negativa, derivante da una concezione paternalistica della medicina, che talvolta viene utilizzata volutamente per “distinguere” una persona, il medico, da chi ha bisogno di cura, da chi necessita di cura, negando così il rapporto fiduciario curato-curante che è la base centrale della riuscita di un qualunque percorso terapeutico. Ecco perchè il termine “malato” è fortemente invalidante: questo distinguo infatti rischia di diventare la base per una discriminazione.
Paziente (dal greco pathos: sofferenza, radice della parola patologia, dunque colui che soffre o ha una patologia e non colui che è paziente). Questo termine è più funzionale e descrittivo di una condizione. Il nostro background culturale non ci fa percepire nulla di negativo ad essere considerati pazienti: dobbiamo però sottolineare che in alcuni ambienti culturali all’avanguardia anche questo termine è visto con accezione negativa.
Dunque: persone sì, pazienti forse, malati no.
Quanto detto sopra deriva dalla nostra esperienza e da impressioni che abbiamo potuto raccogliere. Talvolta sono proprio le impressioni della popolazione generale a dare il taglio giusto del percepito rispetto ad un concetto. Stupisce molto come nel 2005 si vedano pubblicazioni che parlano ancora di “associazioni di malati”, come ad esempio il recente libro “Le associazioni di malati nel web” (Il Pensiero Scientifico Editore, 2005).