ANTEPRIMA DELTA 28 – Cristina Mussini ci aiuta a capire quale possa essere il futuro delle Interruzioni Strutturate di terapia.Il recente CROI 2006 ha dedicato un’intera sessione di presentazioni orali alle interruzioni terapeutiche e questo l’ha certamente differenziato da quello dello scorso anno nel quale gli organizzatori avevano accettato soltanto alcuni poster e nell’ambito di quelli relativi alla terapia antiretrovirale. Come mai? Quali dati sconvolgenti erano emersi nel frattempo? Su Delta n. 27 è riportata una descrizione degli studi presentati, per questo riprendo solo le conclusioni.
CROI 2006: le conclusioni degli studi presentati
Analisi delle conclusioni
A mente fredda c’è da dire che i risultati dello studio SMART non sono stati una sorpresa per chi come me si occupa da tempo di interruzioni terapeutiche guidate dal valore dei CD4. Infatti, se da una parte è indubbiamente vero che gli studi iniziano molto tempo dopo la loro programmazione a causa della difficoltà nel reperire i fondi e nel caso specifico anche di coordinare centri di tutto il mondo, è altresì vero che numerose evidenze erano già emerse da tutti gli studi effettuati in precedenza e bisognava tenerne conto nel disegnare questo studio. Le principali lezioni che abbiamo imparato dagli studi sia randomizzati come il BASTA di Franco Maggiolo, i cui dati a 4 anni sono estremamente incoraggianti e non sono stati accettati al CROI (come mai?) (3), sia osservazionali (4-5) sono fondamentalmente due:
1)le interruzioni terapeutiche guidate dal valore dei linfociti CD4+ costituiscono il rovescio della medaglia dell’immunoricostituzione. Pazienti che avevano sperimentato valori molto bassi di linfociti CD4+ e/o un’infezione opportunistica sono quelli che dopo l’interruzione della terapia rimangono in sospensione per un tempo nettamente più breve e questo indipendentemente dal livello di linfociti CD4+ alla sospensione, a significare un sistema immunitario non completamente ristabilito. Questi pazienti sono anche quelli che sono maggiormente a rischio di sviluppare un evento AIDS o comunque un evento HIV correlato come polmoniti batteriche o candidosi.
2)I pazienti devono essere monitorati con attenzione e in modo più ravvicinato rispetto ai normali controlli tri-quadrimestrali, proprio per il rischio di brusche discese del valore dei linfociti CD4+ che potrebbero esporre il paziente a una rapida progressione clinica.
Analizzando lo studio SMART ci si accorge subito di come queste due lezioni non siano state minimamente considerate. Infatti, il valore nadir mediano dei linfociti CD4+ era di 253 cellule/mm3, quindi è presumibile che quasi metà dei pazienti avesse un valore nadir < 200 cellule/mm3 (valore emerso come il limite per proporre una strategia di interruzione terapeutica CD4 guidata). Come ulteriore aggravante vi era che il 24% dei pazienti aveva avuto un evento AIDS in precedenza. Vi è però un dato ancora più importante e cioè quello che i pazienti hanno trascorso il 10% del periodo dello studio con un valore di linfociti CD4+<200 cellule/mm3, un livello che negli Stati Uniti costituisce una diagnosi di AIDS. Come è potuto succedere?
L’opinione dell’esperto
Il dubbio che sorge è che studi imponenti non costituiscano il modello ideale per studiare questa strategia. Infatti un’estrema rigidità nei controlli potrebbe determinare un tardivo riscontro di una rapida discesa dei linfociti CD4+ e costituire quindi un rischio per una possibile progressione clinica. Alla luce di tutti questi dati, come ci dobbiamo comportare? Non va mai dimenticato che le interruzioni terapeutiche CD4 guidate rappresentano uno dei rari casi nei quali la ricerca clinica è stata forzata dalla pratica dei pazienti. Nonostante il benessere fortunatamente acquisito negli ultimi anni dai pazienti HIV positivi, a lungo andare subentra la voglia di non essere diversi, che da una parte porta a ridurre le precauzioni nei rapporti sessuali (a Modena tutte le nuove infezioni sono in giovani ragazzi omosessuali che hanno smesso in modo inspiegabile di usare regolarmente il profilattico nei rapporti occasionali) e dall’altra a smettere le terapie. Del resto è prevedibile che i pazienti continuino a smettere per periodi più o meno lunghi le terapie antiretrovirali.
Conclusioni
Le interruzioni terapeutiche devono rimanere un terreno di studio e non entrare direttamente nella pratica clinica, le nostre conoscenze al riguardo sono ancora insufficienti. A mio parere, anche per le interruzioni come per le terapie, credo si debba parlare di strategie ritagliate su ogni singolo paziente. Infatti il numero di linfociti CD4+ all’interruzione non significa nulla se non si considerano il valore nadir, lo stadio clinico e anche il tempo dell’immunoricostituzione. Non va mai dimenticato che le interruzioni terapeutiche dovrebbero essere un modo per ridurre l’insorgenza di effetti collaterali non certo esponendo il paziente ad un rischio di progressione clinica, pertanto vanno valutate paziente per paziente ed, una volta intrapresa questa strategia, i controlli devono essere ravvicinati, proprio per ovviare a quanto accaduto nello studio SMART e cioè che i linfociti CD4+ scendano al di sotto delle 200 cellule/mm3.
Dottoressa Cristina Mussini, Policlinico di Modena, Clinica delle Malattie Infettive e Tropicali,
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia