Nadir e Delta fanno il punto sui nuovi farmaci e sul significato della loro disponibilità prima della commercializzazione. Nel 2007 ben 3 nuove molecole (MK 0518, TMC 125 e Maraviroc) saranno oggetto di “accessi allargati” nel nostro paese. Inoltre, anche il TMC 114 continuerà, per gran pare dell’anno, ad essere disponibile tramite questa modalità.L’accesso allargato qualche tempo fa
Qualche anno fa moltissime persone con HIV/AIDS attendevano questo particolare tipo di studio (configurato diversamente da un punto di vista normativo rispetto ad oggi) per poter accedere ai nuovi farmaci e poter così contrastare la replicazione virale, tentando di creare delle nuove combinazioni efficaci. Si veniva infatti da tempi “bui”, in cui molte persone non riuscivano, per varie ragioni, a controllare la replicazione plasmatica del virus. Il vero “tarlo” degli attivisti sui trattamenti, quindi, era incontrare le aziende farmaceutiche e negoziare un accesso allargato sul nuovo farmaco con i criteri più larghi possibili (tra numerologia e criteri di inclusione/esclusione, ossia possibilità di ingresso o non ingresso nello studio) affinché “per ogni paziente con HIV/AIDS in necessità potesse essere costruito un percorso terapeutico tale da…farlo sopravvivere”. Si era più vicini ad un “uso compassionevole” del farmaco, oggi invece possibile solo ad personam.
L’attuale normativa: la fase IIIB prima della commercializzazione
Lo studio clinico di fase IIIB prima della commercializzazione in cui:
può sostituire il “vecchio accesso allargato” ormai di difficile attuazione e gestione in base alla nuova direttiva sulla sperimentazione clinica.
In attesa che vengano definiti i criteri europei per l’uso compassionevole, per i pazienti multi-resistenti, con ridotte opzioni terapeutiche, ciò significa potere usufruire del beneficio clinico del farmaco in sperimentazione prima della sua disponibilità sul mercato al di fuori di studi clinici.
Nella nostra patologia questi studi, grazie anche ad una serie di ragioni storiche di cui non ha senso riferire in questa sede, partono abbastanza precocemente, solitamente in parallelo o subito dopo l’inizio della fase III, che invece valuta i dati di efficacia della molecola sperimentale.
Questo perché spesso si tende a costruire studi di fase II strutturati in modo tale da valutare già preliminarmente il dato di efficacia. Ecco allora che, nel momento in cui il dosaggio terapeutico migliore emerge dalla fase II e gli arruolamenti della fase III sono abbastanza “completati”, l’azienda propone la “fase IIIB”. A volte l’iter è un po’ più standard, quindi si attende, oltre che i dati della fase II, anche che sia chiara l’efficacia dalla fase III.
La strategia che viene scelta dipende da una serie di complessi fattori. Essa viene comunque concordata con le autorità regolatorie. Questi studi di fase IIIB prima del commercializzazione sono tutti rigorosamente “dettati nei criteri” dalle case madri delle aziende farmaceutiche italiane. Essi si configurano in modo differente a seconda delle caratteristiche delle varie molecole e delle diverse strategie aziendali.
Anche nella nostra patologia questi studi stanno acquistando una importanza differente rispetto al passato. Siamo ancora lontani però, è bene dirlo subito con chiarezza, da studi utilizzati a fine di pre-marketing: questo perché pazienti in necessità ve ne sono ancora! Tuttavia sarebbe stupido ignorare “ombre” in tal senso.
In termini monetari le aziende investono poco negli studi di fase IIIB che, in termini di dati, si occupano sostanzialmente del monitoraggio della “sicurezza” del nuovo farmaco e rimangono “in essere” fino a quando la molecola non è “commercializzata”.
Questo accade solitamente 2 o 3 mesi dopo la pubblicazione del decreto in “Gazzetta Ufficiale” da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), ossia da quando l’azienda può iniziare le procedure di inserimento del medicinale nei prontuari farmaceutici locali affinché esso sia materialmente disponibile per i pazienti nei singoli ospedali (farmacie) al di fuori di studi clinici.
Il ruolo degli attivisti
L’attivista nazionale (italiano, spagnolo, ecc…) si trova quindi spesso a giocare un ruolo meno scontato che nel passato.
Personalmente non condivido il criterio che la nuova molecola debba essere ovunque disponibile, se non sono garantiti i criteri di competenza medica del centro clinico e di presenza, nel centro stesso, della diagnostica necessaria per il monitoraggio del paziente. Questi criteri non sono ovunque presenti nel nostro paese.
Non interessa più, come una volta, una discussione sul “consenso informato”, strumento che oramai è soggetto alla Spada di Damocle del singolo comitato etico, ognuno dei quali si sente organo legislativo supremo davanti a Dio. Questo tasto, purtroppo, è il classico esempio di come le esasperazioni italiane possono portare in disgrazia strumenti normativi intelligenti e tutelanti per i pazienti.
Non interessa più “la distribuzione geografica” dei centri. Chi vi scrive si è dovuto ahimè ricredere sul fatto che, ogniqualvolta si tenta di portare uno studio (anche “semplice nella gestione”) al di fuori dei soliti centri…state sicuri che lo studio non parte. Perché? In generale una forte mancanza di cultura, che si riflette sia a livello dei comitati etici (non comprendono il fine dello studio e quindi lo “bocciano”) sia delle amministrazioni, sia, talvolta, a livello dei medici stessi. Tutto ciò contribuisce ad impedire una omogeneizzazione nel nostro territorio degli standard di cura, specialmente in una patologia come l’HIV, in cui l’evoluzione della farmacoterapia adeguata è rapidissima. Evidenziamo anche che spesso nei centri più piccoli o “periferici” non c’è abbastanza personale per seguire gli studi, anche semplici, oltre alla normale routine ospedaliera.
E’ tuttavia importante cercare di creare le condizioni di accesso a qualche sperimentazione, dove i medici potrebbero usare il farmaco in condizioni più controllate e quindi più “favorevoli” e magari non prescriverlo in modo “non congruo” dopo che è in commercio, tutto questo a beneficio sia dei pazienti sia delle amministrazioni.
I pazienti
E’ improbabile che, oggi come oggi, non si riesca a costruire un regime terapeutico efficace anti-HIV/AIDS, anche per i pazienti fortemente pre-trattati. La base imprescindibile è l’aderenza al nuovo regime terapeutico. Questo non significa che comunque non ci siano ancora pazienti in necessità.
Con i nuovi inibitori della proteasi spesso associati ad enfuvirtide ed in presenza di un backbone efficace e/o parzialmente efficace è possibile, in molti casi, pensare di azzerare la viremia plasmatica e garantire quindi un recupero immunologico, almeno in presenza di situazioni non immuno-discordanti. Questo concetto, molte persone con HIV, ancora non lo sanno.
Tuttavia, con gli opportuni “distinguo”, alcuni farmaci tra questi sono a somministrazione complessa: per quanto tempo è dunque ipotizzabile che un paziente assuma il medicinale senza “soffrire troppo” (riduzione conscia e/o inconscia della qualità della vita) e senza ridurre “l’aderenza”, complicando conseguentemente il quadro, ad esempio, delle mutazioni? Non dimentichiamo poi che, specialmente in popolazioni fortemente pre-trattate, non si deve mai trascurare il problema delle tossicità.
I centri clinici
E’ importante che nei centri clinici, oltre la competenza medica, siano presenti gli ultimi farmaci approvati e/o gli studi relativi a nuove molecole chiave e sia presente anche la diagnostica necessaria per il monitoraggio del paziente pre-trattato, come il test di resistenza. Tutto ciò consente al curante ampia libertà per effettuare una diagnosi corretta e poter costruire il regime terapeutico più appropriato.
Ma siamo però certi che sia obiettivo di tutti i centri clinici prescrivere regimi terapeutici spesso costosi, soprattutto quando al di fuori di studi clinici (che invece consentono la gratuità del farmaco), per raggiungere l’obiettivo, dettato da linea guida, della non rilevabilità della carica virale?
I principi guida della scelta del nuovo percorso terapeutico
Prima di assumere un regime terapeutico sperimentale, in presenza di fallimento virologico, occorre:
Non dimentichiamoci che esistono farmaci approvati da tempo, con studi clinici si sicurezza ed efficacia che sono durati anni. Quando possibile, è bene non sprecare questa opzione.
I 40/45 centri…
Il numero di centri clinici che trova concordi una serie di attori nel proporre un protocollo di fase III o IIIB si attesta attorno ai 40/45. In questi centri ci sono: medici competenti, pazienti in necessità dichiarata, comitati etici sensibilizzati, amministrazioni abbordabili, competenza logistica. Quando questi studi, come nel caso degli studi registrativi, sono “ad arruolamento competitivo”, l’Italia non brilla in velocità causa “problemi burocratici”.
I costi
Le pressioni da parte delle amministrazioni ospedaliere sui centri (quindi i nostri medici) sono tali per cui è corretto ipotizzare strani flussi di pazienti da protocolli ad altri in modo tale da risparmiare pesantemente sia sui costi dei farmaci che sulla diagnostica. Questa non vuole essere una denuncia, vuole essere semplicemente una presa di coscienza di come spesso i nostri medici si trovano a dover lavorare.
Il 2007 e le 3 nuove molecole
Per quanto detto, le tre aziende farmaceutiche, una per molecola, adottano strategie completamente differenti. All’attivista dunque non rimane altro che sottolineare, in un contraddittorio non polemico, ma discorsivo, i pro ed i contro delle differenti tre strategie, che non a caso rispondono a differenze profonde tra le tre molecole.
MK 0518: inibitore dell’integrase
Questa molecola è sviluppata da Merck e mostra preliminarmente risultati interessantissimi. Una potenza elevatissima, sia in pazienti pre-trattati che in pazienti naive, e sembra anche una ottima tollerabilità nel breve termine. Essa non necessita di potenziamento di ritonavir ed è a somministrazione due volte al dì, in compresse. Perché dunque è importante uno studio di fase IIIB in questo caso? Perché parliamo di una nuova classe di farmaci, in particolare di un antivirale che agisce in modo differente rispetto ad altri antiretrovirali. Inoltre non sembra avere forti problemi di interazione in associazione ad altri farmaci anti-HIV. Al momento saranno circa 70 i trattamenti disponibili nel nostro paese nel corso del 2007 in ambito di fase IIIB (questo numero probabilmente è destinato a cambiare durante l’anno), sparsi su una decina di centri. La ragione? Ufficialmente c’è poco farmaco a disposizione. La molecola ha tutte le carte in regola per essere una vera “punta di sfondamento” degli schemi classici di associazione antivirale anti-HIV. Gli studi ci aiuteranno a comprendere meglio.
TMC 125: un analogo non nucleosidico
Il farmaco è sviluppato da Tibotec, è a posologia “bis in die” con non poche compresse (2+2) e sarà disponibile in fase IIIB in pazienti che abbiano fallito almeno un regime con IP ed uno con NNRTI. Criteri che sembrano di buon senso. I numeri pianificati saranno congrui alle necessità. Numeri di buon senso, criteri di buon senso per una molecola che, francamente, senza voler dare giudizi affrettati, sembra un po’ “senza senso”, visto il panorama dei farmaci che saranno disponibili nel 2008, visti i risultati al momento contraddittori (lo studio C223 ha dimostrato efficacia in pazienti avanzati, lo studio C227 ha dimostrato parziale inefficacia in pazienti meno avanzati ma con una serie di mutazioni sulla trascrittasi inversa non proprie per questa categoria di pazienti) e vista la posologia ed il numero di compresse. Abbiamo bisogno di dati in più (particolari associazioni) per giudicare questa molecola che è da troppo tempo nel panorama. Avremmo avuto bisogno di un “Sustiva 2”, semplice come il Sustiva nell’assunzione (1 cp. al dì), un po’ più tollerabile e con un profilo di resistenze differente. Allora avremmo avuto un vero candidato NNRTI di seconda generazione, per evitare anni di “inibitori della proteasi” spesso potenziati con ritonavir. Tutto ciò non sembra essere il TMC 125. Inoltre, tutte queste necessità potrebbero essere smentite dall’avvento delle nuove classi. Ecco perché forse è un po’ tardi per questa molecola. “Il quadro è incerto!” – direbbe qualche medico, tuttavia sono per essa ipotizzabili delle “combinazioni in singole compresse” con farmaci di altre classi della stessa azienda….ed ecco che si scorge un percorso molto molto interessante.
Maraviroc
Sviluppato da Pfizer, è un antagonista del co-recettore CCR5. A livello di numerologia non vi saranno problemi per lo studio di fase IIIB. Il farmaco sarà disponibile quasi ovunque (ossia nei centri in cui classicamente ci si attende che ci siano tali studi) ed in quantitativi necessari. Gli studi che fino ad ora abbiamo visto mostrano una molecola sicura e ben tollerata nel breve periodo. Il futuro ci dirà di più…ma non vi è sentore di “non conferma”, anzi! Forse per questa molecola sarebbe quanto mai importante un utilizzo “appropriato ed intelligente”, visto il meccanismo di azione particolare legato alla presenza o meno di un co-recettore. Tuttavia, poiché appartiene ad una classe nuova, dobbiamo imparare a conoscerla, rassicurati dal giudizio del DSMB, che è un gruppo indipendente di esperti, inclusi rappresentanti della comunità con HIV/AIDS, chiamati periodicamente a valutare la sicurezza dei prodotti in studio. Anche durante l’ultima riunione avvenuta in Agosto 2006, essa ha espresso parere favorevole alla continuazione degli studi clinici con questo farmaco secondo quanto stabilito dai protocolli di studio.