In Egitto sono centinaia gli omosessuali arrestati e condannati. La tradizionale tolleranza dell’Islam è finita davanti alle rivendicazioni dell’orgoglio gay. La persecuzione serve ai regimi laici per tenere buoni i fondamentalismi. E gli Usa coprono le torture nelle carceri egiziane.
Da Il Manifesto
Secondo il giornale egiziano Al Wafd, sabato 2 marzo sono stati formalmente incriminati per aver «praticato immoralità sessuale» e «depravazione con uomini» 13 giovani – tra cui impiegati di albergo e studenti – arrestati lunedì 24 febbraio al Cairo. Rischiano fino a 5 anni di prigione. Questi 13 arrestati vanno ad aggiungersi ad altri 19 imprigionati nel solo mese di febbraio, che a loro volta si aggiungono alle centinaia di perseguiti da due anni a questa parte, da quando in Egitto è iniziata la caccia al gay: l’11 maggio 2001, il locale Queen Boat, un battello ormeggiato sul Nilo nel quartiere degli alberghi di lusso, noto luogo d’incontro tra omosessuali, fu oggetto di una spettacolare retata che portò all’arresto e all’incriminazione di 52 gay. Nel novembre di quell’anno la sentenza ne liberò 29 e ne condannò altri 23 a reclusioni fino a cinque anni. Da allora arresti, processi e condanne si sono susseguiti senza tregua, nonostante le proteste internazionali per le torture cui erano sottoposti gli accusati per estorcere loro la confessione non solo di omosessualità, ma di orge dissolute (l’omosessualità di per sé non è espressamente vietata in Egitto). Degli 83 paesi al mondo in cui, secondo Amnesty International, l’omosessualità è considerata un reato penale, 26 sono musulmani e i sette che puniscono l’omosessualità con la condanna a morte, lo fanno tutti in nome della Shari’a, cioè l’interpretazione ortodossa della giurisprudenza islamica, anche se i teologi discutono ancora se l’omosessualità sia esplicitamente condannata nel Corano, nella Sura dei poeti (n. XXVI) dove Lot inveisce contro gli abitanti di Sodoma: «Avrete commercio con maschi fra le creature, abbandonando le spose che Dio ha creato per voi? Siete un popolo criminale» (versetti 165-166).
Ma non va dimenticato che fino a non tanto tempo fa anche in molti stati cristiani l’omosessualità era condannata a morte e che, in vari Stati della federazione statunitense, ancora oggi la sodomia è considerata un reato anche se è praticata nell’intimità delle mura domestiche. In un certo senso, la situazione dell’omosessualità nel mondo islamico può essere paragonata a quella nell’Inghilterra vittoriana, dove le public schools (cioè le scuole private d’élite) e le grandi università erano veri e propri vivai di omosessualità maschile, ma dove Oscar Wilde fu condannato (1898) e imprigionato, e dove, persino dopo la seconda guerra mondiale, il grande matematico Alan Turing fu condannato (1952) e «curato» con gli ormoni fino a essere spinto al suicidio, proprio come la chiesa cattolica condanna l’omosessualità che pure proverbialmente fiorisce in conventi e seminari.
Lo stesso è storicamente avvenuto nell’Islam. Condanna severissima, ma tolleranza benevola per l’omosessualità discreta favorita dalla segregazione sessuale: in una conferenza pan-araba sulla sessualità tenutasi a Oxford nel 2000, un ricercatore venuto dal Golfo arabo diceva: «In prigione il sesso omosessuale è la norma. E l’Arabia saudita è solo una grande prigione». Nei miei viaggi giovanili in Africa del nord sono stato spesso oggetto di (infruttuosi) corteggiamenti maschili: erano per lo più signori felicemente sposati, con figli, che cercavano alcuni una sveltina, altri un amore esotico. Due anni fa in Kuwait l’omosessualità era dilagante, ma doveva rispettare alcune regole. Il gay deve essere baffuto, a riprova della sua virilità, sposato e con figli. Tanto più dilagante l’omosessualità, tanto più va ostentato il machismo e vanno irrisi i «culi», in un esercizio d’ipocrisia ben noto alle società cattoliche: l’Organizzazione egiziana per la difesa dei diritti umani si è rifiutata di difendere i gay, perché «altrimenti avrebbe perso il consenso del popolo egiziano per altre cause», ha detto il suo segretario.
D’altronde la pratica omosessuale era ed è tanto diffusa nell’Islam che per decenni e decenni gli omosessuali di tutto il mondo si sono recati per safari sessuali a Marrakesh, come André Gide si recava in Algeria, senza che fosse lanciata nessuna caccia alle streghe.
Ma con l’americanizzazione del mondo, anche la pratica omosessuale ha cambiato registro, persino nell’Islam. Gli omosessuali del Cairo sono andati a vedere Philadelphia dove Tom Hanks vince una causa per discriminazione proclamandosi gay. È stato aperto un sito Internet GayEgypt.com che costituisce luogo, supporto e strumento con cui si è creata una «community» gay, anche se poi questo sito è l’arma che il ministero degli Interni egiziano spesso usa per individuare e intrappolare i gay, grazie a una speciale task force informatica: «Un mio amico ha scambiato messaggi per parecchie settimane con un italiano, si sono scambiati foto, discusso per ore in italiano. Un giorno il tizio ha annunciato che veniva per una vacanza in Egitto. Si sono dati appuntamento. Ma all’appuntamento c’era la polizia ad aspettare», ha detto al quotidiano francese Libération il gay cairota Khaled.
Molti gay hanno cominciato a portare non più baffi ma capelli lunghi: «Nascondersi è peggio di essere arrestati, voglio sentire la mia dignità. Quando mi molestano, i miei amici mi dicono `Tagliati i capelli’, ma io dico no, non è da me, io non voglio nascondermi», diceva nel marzo 2002 all’agenzia stampa Reuter un attivista gay egiziano che si era dato il nome di Horus, il dio dalla testa di falco, patrono del faraone vivente, e a volte associato con l’omosessualità.
Si è fatta cioè strada l’idea dell’omosessualità non come un «vizietto» versione islamica, ma come identità gay, di cui essere fieri. Non è l’omosessualità in sé a essersi scontrata con i «valori musulmani», ma è il «Gay Pride», esattamente come l’omosessualità non ha mai shockato nessun monastero o seminario, ma la celebrazione del «Gay Pride» a Roma stava per suscitare una guerra di religione con i «valori cristiani» per la sua concomitanza con il Giubileo e la vendita delle indulgenze (nel 2000, non nel 1520). La rotta di collisione si è prodotta tra un fondamentalismo islamico e un movimentismo gay, l’uno ritenendo il secondo sempre più blasfemo, l’altro considerando il primo sempre più insopportabile.
In un articolo sul New Internationalist, la franco-algerina Anissa Helle ricorda che la prima vittima del fondamentalismo algerino fu Jean Senac, un poeta gay assassinato nei primi anni `80. Sempre in Algeria, nel 1989 Oum Ali, una donna nubile, che viveva sola con i suoi figli nella città meridionale (in pieno Sahara) di Ouargla, fu linciata e un suo figlio rimase ucciso quando la sua casa fu bruciata. Questi due episodi, scrive Helle, «avvennero molto prima l’inizio `ufficiale’ del conflitto e rivelano la falsità delle pretese fondamentaliste secondo le quali loro ricorsero alla violenza solo nel 1992, dopo essere stati derubati della vittoria, quando il governo invalidò le elezioni».
Perciò, curiosamente, la persecuzione degli omosessuali è relativamente nuova e può essere considerata come una conseguenza non voluta dell’americanizzazione dei gay islamici. Non solo: essa è intrecciata alla politica mondiale ben più di quanto sembri a prima vista.
La persecuzione dei gay è solo uno dei tanti modi con cui i regimi «laici» tentano di tenere buoni i fondamentalismi. Da un lato gli integralisti vengono selvaggiamente repressi con le armi, ma dall’altro lato i regimi cedono al fondamentalismo su terreni sensibili come l’istruzione, il diritto di famiglia, il ruolo della donna, i criteri di moralità. Avviene in Egitto come in Algeria, dove la disoccupazione e la povertà dilagano e regimi corrotti e impopolari si barcamenano per restare al potere con un sapiente misto di repressione, illegalità e cedevolezza. Il governo di Algeri potrà fare strage di militanti del Gia sulle montagne dell’Atlante, ma le donne algerine sono oggi molto meno tutelate dalla legge di 20 anni fa.
Non a caso in Egitto – dove 23 dei 65 milioni di abitanti vivono sotto la soglia di povertà – la caccia al gay è iniziata nel 2001 dopo che i fondamentalisti avevano ottenuto una sonante vittoria elettorale, conquistando più seggi di tutte le altre opposizioni «laiche» messe insieme. Ma «già nel 1997, 78 adolescenti erano stati arrestati con l’accusa di aver dato vita a un culto satanico: furono rilasciati dopo due mesi di prigione e mai processati, ma nel frattempo le loro vite erano state distrutte perché i giornali avevano pubblicato i loro nomi e le loro foto», scriveva nel 2001 Hossam Bahgat che per aver difeso i gay fu poi allontanato dall’organizzazione egiziana per i diritti umani. E nel 2000 il reato di «disprezzo verso sacre religioni» è stato usato due volte, contro lo scrittore Saheddim Mohsen e la predicatrice Manal Manea. Nel giugno del 2001 la famosa scrittrice femminista Nawal Al Saadawi è stata interrogata dalla procura per lo stesso reato. La «strategia della diversione» spinge il governo e i media a esso subalterni a distogliere a colpi di scandali l’opinione pubblica dalla crescente crisi economica (e dalla svalutazione precipitosa della lira egiziana). Poco prima della retata al Queen Boat un uomo d’affari fu processato per avere 17 mogli, una caso che appassionò l’Egitto intero. Poco dopo fu messa in circolazione una videocassetta clandestina in cui un ex prete copto aveva rapporti sessuali con le donne che venivano al monastero in cerca di guarigione miracolosa: fu il porno più visto dall’Egitto intero. È opinione comune che la cassetta fu fatta filtrare dalle forze di sicurezza, fatto sta che portò a violente dimostrazioni anti-copte, scontri con la polizia e processi che fecero la delizia dei fondamentalisti.
Così, il presidente egiziano Hosny Mubarak dà in pasto i gay ai potenti Fratelli Musulmani considerando quanto gli Stati uniti abbiano bisogno dell’Egitto nella «guerra al terrorismo»: per estorcere segreti ai membri di Al-Qaida e per non sporcarsi le mani, gli Usa hanno usato e usano i torturatori egiziani nelle prigioni egiziane. Non possono quindi formalizzarsi per qualche tortura a qualche povero gay cairota.
Ma il vento può anche girare, perché il presidente degli Stati uniti, George W. Bush, va sostenendo che la guerra contro l’Iraq è l’unico modo per fare diventare democratica tutta la regione, Egitto compreso. Tenendo conto che la lobby gay statunitense è lungi dall’essere ininfluente, il paradosso è che, dopo aver foraggiato Mubarak per decenni (l’Egitto è il secondo ricevitore di aiuti americani all’estero, dopo Israele), gli Stati uniti brandiscano i gay egiziani come una delle cause di libertà e democrazia per cui i marines dovranno risalire il Tigri: ovvero, della strumentalizzazione politica della sessualità.