Ecco come alcuni sfuggono per anni. Un esperto dell’Iss spiega da che dipendono successi e sconfitte della ricerca sulle malattie infettive. Di Giovanni Rezza*Le ipotesi avanzate sulla causa dell SARS (Severe Atypical Respiratory Syndrome), una sindrome recentemente identificata, riguardano due virus diversi, appartenenti alla famiglia dei Paramyxovirus e dei Coronavirus. Nel giro di pochi giorni, infatti, ricercatori di Hong Kong avrebbero dapprima identificato al microscopio elettronico e quindi isolato un virus, appartenente alla famiglia dei Paramyxovirus. Gli stessi ricercatori starebbero già lavorando a un test diagnostico. Pochi giorni dopo, ricercatori dei CDC di Atlanta hanno identificato un nuovo virus appartenente alla famiglia dei Coronavirus. In assenza di un nesso causale certo, che non può essere ancora dimostrato, la questione ci riporta alla discussione su come e se effettivamente le conoscenze di base abbiano migliorate la nostra capacità di riconoscere rapidamente gli agenti causali delle malattie virali. Per identificare l’Hiv nei malati di AIDS ci vollero circa due anni; ora ci troviamo, nel giro di pochi giorni, con, addirittura, una rosa di “sospetti”. Di certo, le tecniche di biologia molecolare permettono oggi di identificare nuovi virus in poco tempo. Una rivoluzione è stata la PCR, che permette l’amplificazione e il sequenziamento dei geni virali. La sensibilità di questa tecnica è notevole, in quanto permette di identificare sequenze virali anche a partire da pochissimo materiale biologico. E’ stato proprio grazie alla PCR che, nel 1994, è stato possibile identificare il virus Hhv8, agente causale a lungo cercato di una vecchissima malattia come il sarcoma di Kaposi. Anche le diverse caratteristiche dei virus giocano un ruolo importante nella rapidità con cui essi vengono identificati. La SARS, ad esempio, è una patologia acuta, dovuta ad un virus che non si integra nel corredo genetico della cellula dell’organismo ospite, al contrario di quanto accade ad esempio per l’Hiv. Quest’ultimo inserisce i suoi geni all’interno del Dna umano dove possono rimanere anche per lungo tempo senza dare segno di sè. I Paramyxovirus invece, come tanti altri virus, mantengono la loro identità, sollecitando sempre una reazione di difesa immunitaria anticorpale neutralizzante. L’invasione dell’organismo umano viene quindi sempre segnalata da uno stato di malattia che rende più facile la scoperta del nesso causale fra agente e malattia stessa. Sempre rispetto all’Hiv, i paramyxovirus, ad esempio, si coltivano molto più facilmente, e ciò rende più rapido l’isolamento virale. Infatti, all’epoca della comparsa dell’epidemia da HIV, non erano ancora ampiamente utilizzate colture di linfociti necessarie appunto per la crescita e l’isolamento del virus. I paramyxovirus, invece, crescono su colture cellulari utilizzate da tutti i laboratori di ricerca.Anche la definizione delle diverse modalità di contagio, che sono importanti dal punto di vista epidemiologico, appaiono essenziali per mettere a punto adeguate misure di controllo, ma non determinanti per la definizione dell’agente patogeno, in quanto virus della stessa famiglia possono avere una diversa contagiosità e, entro certi limiti, diverse modalità di trasmissione. Nel caso della SARS, ad esempio, trattandosi infatti di una sindrome a carico dell’apparato respiratorio, era lecito temere il manifestarsi di un’elevata contagiosità per via aerea. Attualmente quindi abbiamo le conoscenze necessarie ad identificare, anche in tempi relativamente brevi, le cause della maggior parte delle patologie infettive. Basti pensare alla scoperta del ruolo di alcuni virus, come quello del papilloma umano, nella genesi del tumore della cervice uterina, e con questo a tutta una serie di virus oncogeni sconosciuti fino a 20 anni fa. Ma se oggi siamo in grado di identificare gli agenti causali delle malattie infettive, non è scontato che le strategie di lotta nei confronti di tali patologie siano consequenziali. Basti pensare a quanto sia ancor oggi limitato il bagaglio di farmaci antivirali di cui siamo in possesso. Nel caso della SARS, ad esempio, un problema ulteriore potrebbe essere rappresentato dalla combinazione di effetti di due virus, uno dei quali (il Coronavirus) in grado, secondo alcune ipotesi, di favorire l’effetto dell’altro (il Paramyxovirus). Anche qualora si provasse con certezza la causa della SARS, i tempi di sviluppo, produzione e distribuzione di un eventuale vaccino potrebbero non essere brevi. E’ bene però sottolineare che, al momento, non sembrano esserci gli elementi per una vaccinazione di massa, essendo i focolai epidemici controllabili con le procedure di isolamento e contumacia sinora adottate. Sempre a proposito di vaccini, sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà di fronte alle quali ci si trova con l’HIV. Infatti, non tutti i virus sono in grado di evocare una risposta anticorpale “sterilizzante”. E’ questo il motivo per cui, nel caso dell’HIV, si cerca di evocare risposte cellulari, che sono più adatte a controllare l’infezione. Altri problemi vengono causati dall’estrema velocità con cui alcuni virus a RNA mutano; ciò rende necessario, come nel caso dell’influenza, un costante aggiornamento del vaccino. In conclusione, l’emergenza della SARS svela due volti di uno stesso problema: da una parte, la sfida vinta dalla tecnologia nell’identificazione dei virus emergenti che richiede però un adattamento dei postulati che sono alla base del concetto di causa di una patologia infettiva. Dall’altra mostra tutta intera quanto sia ancora lunga la strada da percorrere perché la risposta nella lotta contro i virus sia altrettanto rapida ed efficace.