Massimo Andreoni, Andrea Antinori, Antonella Castagna e Massimo Puoti, video-intervistati dal Presidente di Nadir Filippo von Schloesser, delineano i principali temi affrontati nella conferenza (Seattle, 13-16 Febbraio 2017). A seguire, un’anticipazione del report nel prossimo numero di Delta – n.77, Marzo 2017.
Di seguito Nadir propone alcuni temi della Conferenza, che saranno ripresi e approfonditi sul prossimo numero di Delta (n.77) in distribuzione in Marzo 2017.
HIV: NUOVI FARMACI
Bictegravir – è un nuovo inibitore dell’integrasi della Gilead. Il farmaco è a somministrazione di una volta al giorno, non richiede potenziatore farmacocinetico (booster), molto potente e attivo contro i ceppi resistenti. In uno studio di fase II placebo-controllato su 98 pazienti naïve, esso è stato confrontato con dolutegravir (Sax P abs 41; Zhang H abs 40). Entrambi i farmaci sono stati associati a TAF/FTC. La maggiorparte deipartecipanti erano uomini, oltre la metà erano bianchi e l’età media era di 32 anni. L’infezione da HIV era generalmente asintomatica, la conta media dei CD4 era di 450 cellule/mm3 e la carica virale di 4.4 log10 cp/mL. La funzione renale era nella norma e nessuno (per esclusione) era coinfetto con epatite B o C.
I partecipanti sono stati randomizzati 2:1 a ricevere o 75 mg di bictegravir o 50 mg di dolutegravir. L’obiettivo primario dello studio era la proporzione dei pazienti con HIV RNA < 50 cp/mL alla 24-esima settimana. Entrambi i trattamenti si sono dimostrati altamente efficaci, rispettivamente 97% (sia a 24 sia a 48 settimane) e, per dolutegravir, 94% (24 settimane) e 91% (48 settimane). Visto il numero dei partecipanti, queste differenze non sono statisticamente significative. In entrambi i bracci vi è stato un buon recupero immunologico (+258 vs +192). In merito alla tollerabilità, si segnalano il 12% per braccio di diarrea e nausea (8% vs 12%). L’eGFR è diminuito in entrambi i bracci alla 48-esima settimana (-7.0 ml/min vs -11.3 ml/min), ma non vi è stata nessuna interruzione per tossicità renale e/o casi di tubulopatia.
I risultati sono molto promettenti e nel breve vi saranno i risultati di studi più corposi di fase III, che contemplano la co-formulazione TAF/FTC/bictegravir, quest’ultimo al dosaggio di 50 mg.
Doravirina – è un nuovo non nucleosidico di seconda generazione della Merck. Il farmaco è a somministrazione di una volta al giorno e e attivo contro i ceppi resistenti alla classe. In uno studio di fase III (Molina J-M, abs 45LB; Studio DRIVE-FORWARD) su 640 pazienti naïve ha mostrato la non inferiorità rispetto a darunavir(DRV)/r, entrambi in associazione con tenofovir DF/emtricitabina o abacavir/lamivudina (obiettivo primario).
Dopo 48 settimane, la proporzione di pazienti che ha raggiunto carica virale < 50 cp/mL è stata dell’83.3% (321/383) nel gruppo con DOR a 100 mg vs 79.9% (306/383) nel gruppo con DRV/r. L’incremento di cellule CD4 è stato rispettivamente di 193 e 186.
L’efficacia del trattamento è stata paragonabile tra i partecipanti con carica virale al basale maggiore o minore di 100.000 cp/mL. Solo 1 persona (non aderente) ha mostrato evidenza di resistenza a DOR. Reazioni avverse di qualunque grado sono state paragonabili nei due bracci: 31% vs 32%, così come le interruzioni dovute al trattamento: 2% vs 3%. I più comuni effetti collaterali sono stati: diarrea (14% vs 22%), mal di testa (14% vs 11%), nausea (11% vs 12%), naso-faringite (8% vs 10%).
Vi è stata una differenza statisticamente significativa (p<0.0001) nel cambiamento medio rispetto al basale dei livelli di colesterolo LDL (-4.51 mg/dL vs +9.92 mg/dL), HDL (-5.3 mg/dL vs +13.75 mg/dL). Buono il profilo sui trigliceridi (-3.14 vs . +21.97).
Altre molecole
In un piccolo studio di fase III di 40 pazienti, la metà dei partecipanti (pazienti multiresistenti con cariche virale elevate) che hanno assunto per infusione bisettimanale l’anticorpo monoclonale ibalizumab (che blocca l’ingresso nelle cellule CD4) ha raggiunto carica virale al di sotto delle 200 cp/mL in 24 settimane. In particolare, una volta abbattuta la circa virale di oltre 100 volte, il 43% ha raggiunto la non rilevabilità (< 50 cp/mL). 9 pazienti dei 40 hanno completato lo studio (Lewis S, abs 449LB).
Nell’ambito dei farmaci a lento rilascio, Gilead ha presentato i primi dati in ambito pre-clinico (Winston C Tse, O38) su una nuova classe chiamata inibitori del capside. La molecola, chiamata GS-CA1, ha mostrato in vitro una potente attività di inibizione della replicazione del virus HIV-1, anche su ceppi resistenti. Il meccanismo d’azione è duplice: contro la maturazione dei virioni in stadio avanzato, creando così virioni difettivi non infettivi e contro l’assemblaggio del capside dopo l’ingresso. Sembra che una singola iniezione sub-cutanea mantenga i livelli utili per l’efficacia del farmaco per 10 giorni. Gli studi clinici inizieranno nel 2018.
Genvoya® vs Stribild®: dati a 144 settimane
Dopo 3 anni di trattamento, Genvoya® (elvitegravir 150 mg, cobicistat 150 mg, emtricitabina 200 mg e tenofovir alafenamide 10 mg) ha dimostrato percentuali più alte di soppressione virologica e un profilo più favorevole sui parametri di laboratorio concernenti il rene e l’osso, se confrontato con Stribild® (elvitegravir 150 mg, cobicistat 150 mg, emtricitabina 200 mg e tenofovir disoproxil fumarato 300 mg). I dati (Arribas J, abs P453) derivano dai due studi di fase III (Studio 104 e 111) su 1733 pazienti naïve randomizzati a ricevere i due trattamenti. In particolare, alla settimana 144, l’84.2 % (n=729/866) di chi assumeva Genvoya® e l’80% (n=694/867; 95% CI: 0.6-7.8%, p=.021) di chi assumeva Stribild® ha raggiunto carica virale < 50 cp/mL. Inoltre, l’81.1% (n=702/866) vs 75.8% (n=657/867; 95% CI: 1.5-9.2%, p=.006) ha raggiunto carica virale < 20 cp/mL (obiettivo secondario). In merito alla funzione renale, il cambiamento medio dell’eGFR rispetto al basale è stato per Genvoya® -1.6 mL/min, per Stribild® -7.7 mL/min, (p<0.001). Nessuna complicanza renale segnalata con Genvoya®. Infine, anche la diminuzione della densità minerale ossea è stata statisticamente minore (colonna vertebrale: Genvoya® -0.92%; Stribild® -2.95%, p<0.001; anca: Genvoya® -0.75 %; Stribild® -3.36%, p<0.001).
STUDI SWORD 1&2: DOLUTEGRAVIR + RILPIVIRINA IN OTTIMIZZAZIONE
Su oltre 1000 pazienti, a 48 settimane i risultati degli Studi SWORD mostrano come questo regime di ottimizzazione a due farmaci – che non contiene inibitori della proteasi, nucleosi(ti)dici, potenziatori farmacocinetici – possa essere un’opzione sicura per molte persone con HIV (Llibre JM, abs 44LB).
SWORD-1 e SWORD-2 sono due studi identici, multicentrici, di fase III, in aperto, randomizzati (1:1) che hanno arruolato 1024 persone con HIV che assumevano una terapia standard a tre farmaci (CAR) in Europa, Russia, Nord e Sud America, Asia. I pazienti avevano carica virale < 50 cp/mL da almeno un anno, con una media di quattro anni, e non avevano storia di fallimento virologico o evidenza di resistenza.
Più dei tre/quarti erano uomini, per la maggior parte bianchi, con un’età media di 43 anni. Le cellule T-CD4 al basale erano in media circa 600 cellule/mm3. Come terzo farmaco associato a 2 nucleosi(ti)dici, prima del cambio di terapia (switch), i pazienti assumevano per il 20% un inibitore dell’integrasi (INI), per il 54% un non nucleosidico (NNRTI) e per il 26% un inibitore della proteasi (IP). Il 73% utilizzava tenofovir disoproxil fumarato (TDF). Le persone con coinfezione di epatite B cronica sono state escluse dallo studio.
Vista la randomizzazione 1:1, la metà (511) dei partecipanti è rimasta nel regime terapeutico che già stava assumendo, mentre l’altra metà (513) ha cambiato terapia a favore dell’associazione Dolutegravir (DTG) + rilpivirina (RPV). L’obiettivo primario dello studio era il mantenimento della soppressione virologica a 48 settimane, che è stato raggiunto dal 95% dei pazienti in entrambi i bracci, mostrando così la non inferiorità tra il regime di switch selezionato a due farmaci e un regime standard a tre farmaci.
Il fallimento virologico è stato un evento raro: meno dell’1% nel braccio a due farmaci e l’1% nel braccio a tre farmaci. Tra questi, in chi è stata eseguita la sequenza virale, 1 sola persona (con documentata non aderenza) che assumeva il regime a due farmaci ha mostrato una mutazione riconducibile a resistenza a NNRTI. Sempre tra i falliti nessuno, in nessun braccio, ha avuto mutazioni conferenti resistenza agli inibitori dell’integrasi.
Non si è riscontrato nessun evento avverso inatteso. Gli eventi avversi seri sono stati paragonabili in entrambi i bracci; l’interruzione del regime terapeutico a causa di effetti collaterali si è avuto nel 3% del braccio a due farmaci e in meno dell’1% nel braccio a tre farmaci. Gli effetti collaterali più comuni sono stati: naso-faringite (infiammazione del naso e della gola), mal di testa, infezioni delle vie respiratorie superiori, diarrea. Sebbene non vi sia stata differenza tra gli eventi avversi di grado 3-4 (i più severi), quelli lievi e moderati (grado 1-2) sono stati superiori nel braccio a due farmaci (17% vs. 2%).
Infine, siccome il cambio di regime terapeutico è avvenuto per molti pazienti da tenofovir disoproxil fumarato, vi sono stati benefici sui bio-marcatori dell’osso e vi è stato un effetto “neutro” sui lipidi.
Gli studi SWORD continueranno fino a 148 settimane. Inoltre, un nuovo studio sarà presto intrapreso per validare la co-formulazione DTG+RPV in termini di bio-equivalenza con le singole molecole.
MSM/NOVITÀ: PROFILASSI ALLE INFEZIONE SESSUALMENTE TRASMESSE
L’utilizzo dell’antibiotico doxiciclina “a richiesta”, come profilassi post-esposizione, da parte di uomini che fanno sesso con uomini che partecipavano allo Studio Ipergay sulla PREP ha comportato il 70% in meno di infezioni di clamidia e il 73% in meno di sifilide. Nessuna riduzione della gonorrea (Molina J-M, abs 91LB).
Si parla di “profilassi post-esposizione” in quanto si era comunicato ai partecipanti allo studio di assumere il farmaco dopo episodi (atti sessuali) giudicati da loro “a rischio” ed entro le 72 ore. Per favorire la tempestività dell’intervento, a ogni visita era stata fornita una scorta di farmaco di due mesi ed era stato detto di assumere massimo 6 compresse (da 200 mg l’una) a settimana.
Lo studio ha randomizzato 232 uomini che partecipavano allo Studio Ipergay in Francia, in modo che la metà di essi potesse fare la profilassi. In pratica l’assunzione del farmaco è stata più tempestiva, ossia entro le 24 ore. In 212 hanno completato lo studio, 106 per braccio. La media degli atti sessuali nelle prime 4 settimane è stato di 10; il 42% aveva anche assunto farmaci psicoattivi nell’ultimo anno (metamfetamina, anfetamina, cocaina, crack, ecstasy, GHB/GLB). Circa il 20% aveva assunto terapia di post-profilassi all’HIV mentre partecipavano allo Studio Ipergay (autorizzata, come nello Studio PROUD, se non vi era certezza della copertura della PREP). Al basale vi era stata una diagnosi di gonorrea, clamidia o sifilide nel 10% del braccio cui era stata data la doxiciclina e nel 14% del braccio di controllo.
Con un follow-up medio di 8.7 mesi, vi è stato un 47% in meno di una delle 3 infezioni a trasmissione sessuale nel braccio che ha utilizzato l’antibiotico versus il braccio di controllo (ossia 48 infezioni nel braccio di controllo e 28 in quello con il farmaco). Questo corrisponde a un alta incidenza annuale delle infezioni, rispettivamente del 70% e del 38%. Nessun effetto riscontrato nella gonorrea: 25 infezioni nel braccio di controllo e 22 nel braccio con il farmaco (corrispondenti ad un incidenza annuale del 34.5% e del 29%, statisticamente equivalenti). Viceversa, l’effetto della doxiciclina si è avuto ben chiaro sulla clamidia e la sifilide: 70% in meno di infezioni di clamidia (7 versus 21, corrispondente ad una incidenza annuale di 8.7% versus 29%) e 73% in meno di sifilide (3 versus 10, corrispondente ad una incidenza annuale di 3.7% versus 13%).
L’aderenza al farmaco è stata stimata molto buona: l’83% dei partecipanti l’ha utilizzata quasi sempre dopo il rapporto a rischio, il 49% sempre. Non vi sono stati particolari allarmi in merito alla tossicità; vi sono state tre infezioni di HCV: 1 nel braccio con il farmaco e 2 in quello di controllo.
TRATTAMENTO EFFICACE CON RESISTENZE: CHE SUCCEDE?
Uno studio di prevalenza di resistenze ai farmaci antiretrovirali trasmesse, tra i partecipanti dello Studio ANRS12249 (studio di treatment as prevention presentato allo IAC di Durban dell’anno scorso) ha riscontrato che una minoranza dei partecipanti aveva resistenza al virus dell’HIV. Tuttavia, non vi è stata alcuna evidenza che la resistenza pre-esistente avesse qualche impatto sul successo del trattamento. Questo è in contrasto con quanto osservato e pensato fino ad ora, anche se probabilmente è necessario un follow-up più lungo per comprendere bene il fenomeno (Derache A, abs 43).
Il test di resistenza è stato eseguito su campioni di 1340 persone partecipanti allo studio. Di queste, 1069 erano persone inserite nel continuum of care, ossia pazienti “regolari” delle cliniche che gli avevano effettuato il test, mentre 77 erano quelli che erano diventati HIV-positivi nel corso dello studio. Una delle conclusioni dello studio era stata che se da un lato le persone erano volenterose e proattive nell’effettuare il test, un’alta percentuale di coloro che era risultato positivo al test non si presentava alle viste di inizio del percorso di cura (problematiche di “linkage to care”). In conseguenza, il test di resistenza è stato eseguito su 195 campioni di sangue “secco”, di persone che erano risultate positive al test, ma che non si erano più presentate. Circa il 9% presentava resistenza (20% su mutazioni predominanti e 9% minoritarie). La maggior parte (73%) ai non nucleosidici (mutazione più comune K103N, che causa alta resistenza a efavirenz).
Nonostante questo, il successo virologico di chi ha iniziato la terapia è stato del 97%, con una media di 3 mesi per il raggiungimento di meno di 400 cp/mL. Considerando che la terapia predominate prescritta era tenofovir DF/emtricitabina/efavirenz, non si è riscontrata nessuna associazione tra resistenze presenti e successo virologico (avvenuto). L’ipotesi sul campo è che tenofovir/emtricitabina abbia supplito alla mancanza di un terzo farmaco efficace.
Questo tuttavia contraddice studi precedenti effettuati proprio su questi aspetti. Il quesito ora, visto che il tempo medio di soppressione virologica di questi pazienti è già 16 mesi, è: quanto durerà questo successo virologico?
INFIAMMAZIONE E FRAGILITÀ
“I medici e le persone con HIV possono prevenire la progressione della fragilità attraverso alcuni interventi: 1) ridurre l’infiammazione cronica; 2) prevenire e ridurre le malattie/comorbosità croniche; 3) modulare i fattori di vulnerabilità socio-economica (educazione, lavoro); 4) iniziare precocemente la terapia antiretrovirale per ottenere la soppressione virologica duratura, evitare di raggiungere bassi livelli di CD4 e la progressione verso l’AIDS”. Sono le conclusioni dei ricercatori della Johns Hopkins University derivanti dall’analisi di una coorte di 1300 persone con e senza HIV (Coorte ALIVE; Piggott DA, abs 133).
Sembra possibile passare da uno “stato di fragilità” a uno di “non fragilità” (detto “Fit” o fenotipo robusto), misurato secondo una valutazione del fenotipo fisico (detto “Fried phenotype”) proposto in questa ricerca: lo stato di fragilità/robustezza della persona è dinamico e può essere attivamente cambiato.
Interrogato dalla redazione di Delta, il Prof. Giovanni Guaraldi (Università di Modena e Reggio Emilia), esperto della materia, commenta “Il tema della fragilità della persona con HIV è, oggi, all’ordine del giorno. Gli interventi per raggiungere/conservare uno stato di robustezza partono dal controllo della malattia da HIV, che implica il raggiungimento di una carica virale non rilevabile, ma non si esaurisce in questo. Anche quando la persona con HIV ha carica virale controllata e alti CD4, ha quasi il 70% in più di probabilità di essere fragile rispetto a un soggetto sieronegativo. Quello che ancora manca sono i trattamenti per controllare la componente di fragilità indotta dallo stato di infiammazione cronica, che rimane peculiare di questa malattia. Sicuramente efficaci sono invece i trattamenti socio-sanitari volti a ridurre lo stato di vulnerabilità socio-economica, talora più significativi nella nostra popolazione”.
INIBITORI DELLE PROTEASI E MALATTIA CARDIOVASCOLARE
Gli ultimi dati dello Studio D:A:D (35711 persone) hanno preso in considerazione, con un follow-up di 7 anni a partire dal 1.1.2009, il “primo evento cardiovascolare” (CVD) accaduto tra i partecipanti alla coorte, che sono stati 1157. La definizione di CVD comprendeva l’infarto del miocardio, l’ictus, la morte improvvisa per ragioni collegate al cuore, l’insorgere di problemi cardiaci che comportassero bypass coronarico, angioplastica, endoarteriectomia carotidea. E’ emerso come l’uso cumulativo di darunavir/r, ma non di atazanavir/r fosse indipendentemente associato ad un aumento (piccolo, ma in crescita) del rischio cardiovascolare. Non noti i meccanismi (Ryom L, abs 128LB). Inoltre, dai dati della Veterans Aging Cohort Study (VACS) su oltre 90.000 partecipanti è emerso come l’elevata bilirubina, indipendentemente dall’utilizzo di atazanavir, riduca il rischio di insufficienza cardiaca e infarto acuto del miocardio, avendo dunque un effetto protettivo nei confronti della malattia cardiovascolare perché riduce lo stress ossidativo e ha proprietà anti-aterogene (Marconi VC, abs 127).
EPATITE C
GLECAPREVIR AND PIBRENTASVIR (ABT530/GLE+ABT493/PIB) – I nuovi farmaci anti-HCV a somministrazione orale della Abbvie, attivi sui genotipi da 1 a 6, hanno mostrato un efficacia vicino al 100% sia nelle persone monoinfette sia in quelle coinfette con HIV. In uno studio è emerso come non siano necessari aggiustamenti di dosaggio quando questi farmaci sono somministrati con elvitegravir, cobicistat, emtricitabina, TAF, abacavir, dolutegravir e lamivudina (Kosloski MP, abs 413).
STUDIO ION-4 – Questi studi hanno valutato la sicurezza e l’efficacia della combinazione ledipasvir/sofosbuvir (LDV/SOF)somministrata per 12 settimane in persone con coinfezione HIV/HCV. L’uso concomitante di ledipasvir e tenofovir DF (TDF) aumenta i livelli di tenofovir. Da un’ulteriore analisi degli studi è emerso come un bio-marcatore urinario (RBP24) possa identificare i pazienti che, a causa dell’aumentata esposizione a tenofovir, sono a rischio di tossicità tubulare (Chan AW, abs 138).
OLANDA E EPATITE C ACUTA NEGLI MSM HIV+ – Ad un anno dall’accesso universale dei farmaci anti-HCV, l’incidenza dell’HCV acuta in questa popolazione (nella quale, ricordiamo, è in atto una epidemia di HCV in Europa) è diminuita del 52%. Per la prima volta, dati al di fuori del contesto di studio clinico, si dimostra che il treatment as prevention è possibile anche per questa patologia. In particolare, con l’accesso tempestivo e universale ai nuovi farmaci anti-HCV vengono risparmiate nuove infezioni di Epatite C negli MSM HIV+ (Boerekamps A, 137LB).