Una serie di articoli della serie «Medicina, società e industria», pubblicati recentemente su Lancet ha discusso estesamente il vasto ruolo che l’industria farmaceutica ha nella società. Anche se questo ruolo può variare per alcuni aspetti da un Paese all’altro, vi sono caratteristiche comuni che permettono considerazioni di carattere generale. L’industria farmaceutica non è solamente una distributrice di farmaci, ma è pure un’importante dispensatrice sia di informazione sia di persuasione. Il costo dei farmaci che essa fornisce grava pesantemente sui fondi pubblici e privati. Nei Paesi industrializzati, l’industria farmaceutica è tra i maggiori datori di lavoro, innovatori, finanziatori della ricerca – con molte eccezioni – artefici delle esportazioni. In queste condizioni, i suoi interessi commerciali possono essere paralleli, non conflittuali con quelli della comunità. A volte, però, gli interessi divergono, e quando ciò accade si deve trovare una soluzione. I doveri dell’industria farmaceutica. La responsabilità di una parte verso l’altra non è solamente una questione di leggi statuali, benché le leggi e le regole possano riflettere e formalizzare la relazione. La responsabilità, più comunemente nasce perché una delle parti ha volontariamente preso su di sè – o accettato di farlo – certi doveri, o, più semplicemente, li ha assunti per un lungo periodo, così che altri si basano ora su essi. Due sono le responsabilità predominanti che ha l’industria: il dovere commerciale verso gli investitori, e il dovere nei confronti della comunità. Da un punto di vista commerciale, un’industria farmaceutica è obbligata a fornire un congruo ritorno agli investimenti azionari, che deve essere adeguato a ricompensare gli investitori, ma anche sufficiente ad attrarre nuovi capitali quando necessario. Si può affermare, che da questo punto di vista, l’industria farmaceutica si è comportata assai bene, anche durante i periodi di stagnazione o recessione economica verificatesi negli ultimi 30 anni, rimanendo fortemente e progressivamente dispensatrice di profitti. Le fusioni, verificatesi sempre più frequentemente in questi ultimi anni, non sono state il risultato di fallimenti industriali, ma sono nate dal desiderio di un gruppo forte di confluire in un gruppo ancora più forte. Da un ampio punto di vista sociale, l’industria farmaceutica ha il dovere di fornire alla comunità farmaci efficaci, a un prezzo abbordabile, e di fornire informazioni affidabili su essi. La sua responsabilità dovrebbe, cioè, essere fondata sui principi dei diritti umani. In un senso più stretto, essa ha doveri legali con le agenzie regolatorie governative, i servizi sanitari, le istituzioni, per assicurare che il pubblico interesse sia servito, ed è a questo riguardo che l’industria farmaceutica, nonostante i successi conseguiti, è attualmente sotto tiro. Se si può affermare che la qualità è stata mantenuta e il processo innovativo è continuato, appare d’altra parte evidente l’esistenza di alcuni punti critici, che si riferiscono alle priorità della ricerca, al prezzo dei farmaci, alle modalità con cui si fornisce l’informazione. Priorità della ricerca. Programmi finanziati con denaro pubblico sono in procinto di sviluppare farmaci per patologie che colpiscono le popolazioni più povere del mondo. Essi sono la dimostrazione di quanto la ricerca industriale abbia trascurato questa area di scarsi profitti, mentre essa ha privilegiato lo sviluppo di farmaci per le società più ricche, capaci di pagarli. È duro dover constatare che l’industria farmaceutica di dimensioni mondiali – se deve essere giudicata responsabile nel confronto della società – lo fa ignorando i suoi doveri, quando continua a trascurare le fondamentali necessità delle popolazioni mondiali più indigenti. Il prezzo dei farmaci. Il prezzo dei farmaci rappresenta un motivo di contestazione sia nei Paesi poveri sia in quelli ricchi. In questi ultimi, il costo delle medicine è divenuto uno degli elementi sostanziali nel costo dell’intera spesa sanitaria, a un punto tale che è progressivamente divenuto più difficile fornire adeguati servizi. Tuttavia, questo argomento è soprattutto cruciale per i Paesi in via di sviluppo, dove i farmaci salvavita sono, come regola, al di fuori della portata delle persone che ne necessitano. La soluzione del problema non è quello della donazione, che si è dimostrata di assai scarsa efficacia, ma in un generale riaggiustamento di come si stabiliscono i prezzi e la vendita dei farmaci nel mondo. Le maggiori industrie farmaceutiche che hanno negoziato con le agenzie internazionali l’acquisto in massa di farmaci per i Paesi in via di sviluppo, hanno tollerato una riduzione al 5% o meno del prezzo originario per vaccini e contraccettivi orali, e non vi è ragione di ritenere che a questi prezzi così ridotti esse stiano vendendo in perdita. L’abusato argomento addotto dalle industrie farmaceutiche che i costi elevati dei farmaci sono attribuibili ai costi per la ricerca è smentito dall’analisi dei costi pubblicitari e promozionali, che superano di molto i costi della ricerca. In aggiunta, la ricerca industriale può usufruire di supporto pubblico (come riduzione delle tasse, mutui agevolati). Informazioneepromozionesui farmaci. Il dovere di dire la verità sui farmaci è sorto come risultato del ruolodominante assunto dall’industria farmaceutica nel fornire informazione sulle medicine, così che la comunità è divenuta pesantemente dipendente da essa. Gli ideali di salute e benessere pubblicicoesistono con un sempre più vigorosocredo commercialee competitivo e possono essere offuscati da esso. Un vasto numero di individui nel mondo occidentale hanno interesse al benessere finanziario dell’industria farmaceutica, in qualità di lavoratori, investitori o pensionati, indirettamente dipendenti dalle prestazioni dell’industria sul mercato azionario. La difficoltà sorge quando l’andamento finanziario dipende da pratiche che sembrano tradire il dovere più ampio dell’industria di contribuire positivamente alla salute. Il costante flusso di nuovi farmaci, inclusi molti che contribuiscono poco o niente alla cura della salute, la pressione di carattere promozionale esercitata sui medici per prescrivere nuovi farmaci – generalmente più costosi di quelli precedenti – e la collocazione dei prezzi ai livelli più alti che il mercato possa sopportare, possono essere criticati dal punto di vista della società, ma la domanda è se essi siano realmente “salutari” anche da un punto di vista puramente commerciale. Nessuno trarrebbe vantaggio se l’edificio farmaceutico-industriale avesse un collasso, ma è sicuramente opportuno considerare come si possa trovare un miglior bilancio tra salute e commercio. Problemi di vigilanza. Rendere l’industria farmaceutica responsabile nel confronto della comunità sta divenendo sempre più difficile, anche perché essa è molto abile nel “disarmare” le critiche. La diretta pubblicità dell’industria e quella più ampia del settore su professionisti od opinionisti viene esercitata attraverso organizzazioni/centri associati che proiettano un’immagine di neutralità e non vengonoimmediatamente riconosciute comeassociati al l’industria.Di queste organizzazioni “fiancheggiatrici” ne esistono sia in Usa sia in Europa. L’effetto generale di questi sforzi di pubbliche relazioni è quello di dividere e disarmare l’opposizione nella comunità. Un secondo elemento che complica la difesa del l’interesse pubblico sono le dimensioni mutate delle aziende che rendono possibile robuste pressioni anche sui governi di Paesi occidentali. Un terzo elemento è rappresentato dal carattere multinazionale che domina il mercato farmaceutico. Diversamente da un’azienda nazionale, che è assoggettata alle regole e sanzioni delle leggi nazionali, una multinazionale può operare in un sistema di 50-100 leggi, rendendo più difficile l’intervento del governo nazionale su queste complicazioni di carattere extraterritoriale. Organizzazioni governative e intergovernamentali. Le regole emanate per assicurare che i farmaci siano registrati solo se efficaci, sicuri, prodotti correttamente e onestamente promossi, si sono dimostrate più che necessarie nei 40 anni seguiti al disastro della talidomide. Ma le iniziative regolatorie sui farmaci assunte a livello locale non sono state unificate a livello mondiale, e non sono servite a rappresentare la controparte della comunità alle multinazionali. La regionalizzazione della politica sui farmaci, che è molto avanzata nella Ue, rappresenta una tappa importante nella nuova direzione, tuttavia la meta è ancora lontana. In Europa gli standard e le politiche tuttora variano, mentre a livello internazionale vi è disaccordo e criticismo nel confronto di problemi come l’accettazione di un’elevata proporzione di me-too drugs, l’enfasi crescente sulla velocità di approvazione e sul numero di farmaci approvati rapidamente che dimostrano in seguito seri problemi di sicurezza. Prospettive. Benché esistano limitazioni nel formalizzare le responsabilità dell’industria nel confronto della società a livello mondiale, esistono segni incoraggianti. Il più importante progresso verificatosi in quest’area è la crescente consapevolezza pubblica di questi problemi. Per esempio, una grande reazione mondiale ha bloccato i tentativi di un gruppo di multinazionali di vanificare gli sforzi del governo sudafricano a fornire farmaci generici a basso costo per i malati di Aids. Si è cosi radicata la convinzione che a volte si abusa della forza industriale e bisogna stare all’erta. Il potenziale mercato mondiale dei farmaci è sufficientemente vasto da offrire supporto a un’industria sana e creativa, senza necessità di abuso commerciale. Essa si è ora abituata a operare in condizioni che sarebbero state inimmaginabili 50 anni fa. Chinando il capo alla minaccia di rivelazioni e alla pressione pubblica, fin dal 1970 l’industria ha abbandonato tutto ma non la pratica di intraprendere ricerche cliniche non etiche nei carcerati o in individui che vivono in Paesi in via di sviluppo. Le aziende hanno anche iniziato, benché a malincuore, a muoversi verso prezzi fortemente differenziati, rivolti a servire il mondo dei più poveri. Una sfida ulteriore è quella di ridurre lo squilibrio tra spese promozionali e spese per la ricerca, forse indirizzandosi progressivamente a un sistema nel quale è il servizio sanitario stesso a provvedere al l’informazione sulla maggior parte dei nuovi farmaci piuttosto che finanziare indirettamente, come avviene attualmente, un esercito di informatori scientifici (24mila in Italia). Sembrerebbe, dai dati disponibili, che una modesta riduzione delle spese di pubblicità, renderebbero disponibili risorse sufficienti ad aumentare considerevolmente le spese per la ricerca. Evidentemente, non tutte le industrie farmaceutiche sono di questo avviso, come dimostra il recente scandalo che ha visto coinvolti 3mila medici e operatori sanitari italiani che ricevevano regali di ogni sorta da una multinazionale, di cui prescrivevano generosamente i farmaci.