Riportiamo il comunicato stampa dell’Istituto Superiore di Sanità in merito ai dati interinali a 24 settimane del vaccino tat di Barbara Ensoli. Presentati oggi 5 luglio i primi dati. Un vaccino sicuro e ben tollerato, in grado di stimolare la risposta immune voluta sia nei volontari sani che sieropositivi. E’ questo il giudizio che emerge dai dati raccolti nella prima fase di sperimentazione del vaccino italiano contro l’AIDS basato sulla proteina TAT, messo a punto dall’equipe dei ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità coordinati da Barbara Ensoli.
“Si tratta di risultati estremamente importanti, e che ci riempiono di orgoglio e soddisfazione” – dichiara Enrico Garaci, Presidente dell’ Istituto Superiore di Sanità – “Queste premesse e questi numeri ci impongono di avviare la seconda fase dello studio che si svolgerà sia in Italia che in Africa, dove l’infezione è estremamente diffusa.
Questa prima fase di sperimentazione sull’uomo ha avuto come principale obiettivo la verifica della sicurezza del vaccino, ossia l’assenza di tossicità per l’organismo umano. “I dati in nostro possesso, a un anno di distanza, ci permettono di affermare che il vaccino è sicuro e ben tollerato, come valutato dall’apposita Commissione Eventi Avversi” – afferma Barbara Ensoli.
Obiettivo secondario di questa fase di sperimentazione, inoltre, era anche quello di condurre un’analisi preliminare dei dati relativi all’immunogenicità. Un obiettivo, questo, che diventerà primario nella fase II della sperimentazione clinica, quella successiva, in cui verrà valutata la capacità del preparato vaccinale ad indurre una risposta immune specifica contro la TAT, proteina fondamentale alla replicazione del virus. “In tutti i casi abbiamo già riscontrato una risposta immune sia nei soggetti sani che in quelli sieropositivi dopo l’inoculazione delle dosi vaccinali” – spiega la ricercatrice – “nel 100% dei volontari immunizzati si è avuta una risposta umorale positiva, ossia la produzione di anticorpi specifici, sia nel protocollo preventivo che in quello terapeutico. La risposta cellulare, ossia la risposta di cellule specifiche capaci di riconoscere la proteina TAT, è stata indotta nel 93% dei volontari sani (protocollo preventivo) e nell’83% dei volontari sieropositivi (protocollo terapeutico)”.
Lo studio
Sono stati condotti in parallelo, a Roma e a Milano, in 4 centri clinici (Ospedale San Raffaele di Milano, San Gallicano, Spallanzani e Policlinico Umberto I di Roma) due trials: uno di tipo preventivo in una popolazione di 20 sieronegativi, ovvero volontari sani adulti, non a rischio di infezione, e uno di tipo terapeutico in una popolazione di 27 sieropositivi, individui cioè infettati, ma in uno stadio asintomatico di malattia e dunque non sottoposti ad alcun regime terapeutico (in una fase, come si dice in gergo, di immunocompetenza, ossia con un sistema immunitario ancora funzionante). Tutti hanno dovuto superare preventivamente una fase di pre-screening per verificare i parametri di inclusione. I volontari sono stati, quindi, sottoposti a cinque vaccinazioni a distanza di quattro settimane l’una dall’altra, e visitati, con prelievi di sangue e controlli clinici, un giorno dopo e una settimana dopo ogni immunizzazione. Arruolati a scaglioni nel periodo novembre 2003-novembre 2004, tutti i volontari hanno adesso completato la fase di trattamento e continueranno ad essere seguiti dagli stessi centri clinici.
L’apertura dei codici
I due trials sono stati eseguiti in regime di randomizzazione in doppio cieco, che significa che né il volontario, né l’investigatore clinico, né lo sponsor (in questo caso l’ISS) conoscevano il trattamento ricevuto da ogni volontario. I vaccini sono stati preparati con un numero (un codice appunto), associato a un trattamento, associazione nota solamente ad uno specifico dipartimento dell’organizzazione esterna altamente specializzata che si è occupata di monitorare i trials clinici, per verificare che essi fossero condotti nel pieno rispetto delle regole di ‘good clinical practice’. In questa fase, l’apertura dei codici è limitata allo sponsor per permettere un’analisi preliminare dei dati. Questo significa che all’ISS è stato comunicato il numero di vaccino con cui ogni volontario è stato trattato e il conseguente dosaggio di vaccino (o il placebo, cioè il controllo). I nomi dei volontari vengono rigorosamente mantenuti confidenziali dal sito clinico.
Perché un vaccino TAT?
Una serie di motivi rendono la proteina TAT “speciale”. Il primo è che si tratta di una proteina regolatoria del virus, un motore del virus, e non di una proteina strutturale. Questo vuol dire che il vaccino sperimentato dall’ISS presenta un razionale, cioè un approccio, totalmente differente da quello degli altri vaccini sperimentati sinora nel mondo. Questi, infatti, si sono concentrati sulle proteine esterne dell’involucro del virus, allo scopo di ottenere un’immunità sterilizzante, ossia la produzione di anticorpi che bloccano il virus prima che entri nelle cellule, inducendo una risposta immune contro queste proteine esterne. Purtroppo questi approcci hanno sinora dato risultati fallimentari. Il vaccino TAT, al contrario, non è in grado di bloccare l’entrata del virus, ma di bloccarne il funzionamento, di non farlo replicare. In altre parole, la risposta immune contro questa proteina dovrebbe far sì che essa non funzioni più nel virus e quindi che l’infezione diventi abortiva.
La funzione preventiva del vaccino TAT deriva proprio dal fatto che riesce a bloccare le prime fasi di replicazione del virus. Quando si viene infettati, infatti, il virus entra nella cellula e inizia un meccanismo di proliferazione di se stesso, per cui produce tante copie di virus che si diffondono nell’organismo. Se si riesce a bloccare questa prima fase, il virus non è più in grado di copiare se stesso. Nella sperimentazioni precliniche, condotte sulle scimmie, è successo esattamente così: il virus è entrato nella cellula (i ricercatori hanno trovato tracce di DNA provirale), ma non c’è stata replicazione, non c’è stata quindi l’evoluzione dell’infezione. Questo significa che nel modello animale il vaccino è riuscito a bloccare l’infezione in fasi così precoci che l’infezione stessa non è riuscita a partire.
In una seconda ipotesi, meno efficace, è possibile che il virus riesca ad iniziare un ciclo replicativo, il quale, tuttavia, può essere tenuto sotto controllo da un sistema immune che funziona. I cicli di replicazione virale diventano in questo caso molto più bassi e la malattia rimane sotto controllo. Dati condivisi della letteratura internazionale testimoniano che sono proprio le prime fasi di infezione a stabilire l’evoluzione della malattia. In altre parole, più virus replica nelle fasi di infezione acuta all’inizio, più aumentano le probabilità di procedere verso la malattia in tempi brevi.
In questo caso, dunque, si è riusciti, sempre nelle scimmie, a controllare talmente bene il processo replicativo che la malattia è rimasta sotto controllo.
Prospettive future
I risultati della sperimentazione clinica del vaccino TAT ci impongono di passare alla fase II, che permetterà di vaccinare un numero molto più ampio di volontari che includerà per il protocollo preventivo individui sani ad alto rischio di infezione e per quello terapeutico pazienti nei differenti stadi di malattia trattati o non trattati con farmaci anti-retrovirali. Tali categorie di volontari rappresentano le popolazioni nelle quali verranno realizzate in fase III le valutazioni di efficacia sia in Italia che in Africa. L’esecuzione della fase II sia preventiva che terapeutica (sia in Italia che in Africa) richiederà un budget di circa 50 milioni di euro e tempi di realizzazione di 2-3 anni su un campionamento di 500-2000 persone per trial. Visto l’elevato budget richiesto a tal fine e l’ingente (8) numero di brevetti dell’ISS derivati da questa ricerca, iniziative sia private che pubbliche sono in via di definizione affinché il gruppo dell’ISS sia in grado di procedere.