Dice di non avere una «ricetta», ma ha chiaro un concetto: basta con l’emergenza. Il compito di Farmindustria è ora quello di «progettare il futuro». Federico Nazzari, nella sua prima intervista da neopresidente di Farmindustria, traccia i programmi dell’associazione.Presidente Nazzari, negli ultimi tempi è sembrato difficile fare una politica comune per le farmaceutiche. Non la preoccupa?
Io credo che le ragioni dell’unità delle imprese sono molto più forti di quelle di una differenziazione. E so di poter ragionare con un settore compatto, che sa come le politiche industriali, se si riesce a metterle in campo, sono positive per tutti. Nessuno può risolvere da solo i problemi. Ogni azienda deve fare il proprio compito individualmente, ma per la politica generale non c’è ricetta migliore di un sistema associativo.
Insomma, sarà un presidente di tutti.
Lavoro da 33 anni nel settore, metà con le multinazionali metà con le nazionali. Anche per questo credo di dover fare il presidente di tutti. Ragionando in termini di interesse di settore. E cercando di interpretare i problemi e le esigenze medie di un sistema complesso come è il nostro comparto.
Con quale programma torna alla presidenza dopo quattro anni?
Non ho elaborato un programma tradizionale, preferendo concentrarmi su alcuni punti focali. A partire dalla necessità di aumentare la sensibilità di tutti sul fatto che abbiamo il diritto-dovere di perseguire gli scopi delle nostre imprese. Anche il profitto, sapendo che stiamo su un mercato particolare.
Allora, che fare?
Serve un impegno intenso per mettere in evidenza l’aspetto industriale e di ricerca svolto dalle imprese farmaceutiche. Per uscire dalla concezione del farmaco come puro elemento di costo e mettere invece in luce quanto è in penombra: la ricerca, l’occupazione qualificata, l’internazionalizzazione che diverse imprese italiane stanno facendo con successo. I risultati sono miglioramento della qualità e dell’aspettativa di vita. E un contributo positivo alla bilancia commerciale.
E tutto ciò come si traduce in concreto?
Non ho una ricetta in tasca. Ma certamente, dopo tutte le manovre che hanno compresso i margini delle imprese, non vorrei superare la soglia oltre la quale c’è solo il crollo degli investimenti. Dobbiamo far andare d’accordo i problemi della spesa con quelli delle imprese. Col giusto equilibrio. Credo che nessuno voglia che l’Italia diventi un Paese di puro import di farmaci, magari di «serie B», perché costano meno.
Non facile a realizzarsi…
Certo è un equilibrio complesso. Ma è indispensabile un progetto di politica industriale con un respiro di medio-lungo periodo. Ed è quanto ci impegniamo a fare, discutendo con le controparti istituzionali. Per riuscirci è necessario però non dover rincorrere di continuo l’emergenza. Serve un set di regole molto chiare, molto precise, molto poco interpretabili. Le regole non ci spaventano. Ci spaventano le regole confuse o le non regole.
Pensa che siano davvero maturi i tempi?
È il momento giusto per immaginare di avere uno spazio temporale adeguato per lavorare a un progetto serio. Io mi auguro di aiutare l’associazione a non rincorrere l’emergenza ma a progettare il futuro. Con la nostra disponibilità a co-gestire e a essere co-responsabili anche dal punto di vista della spesa.
Che pensa di un’Agenzia per il farmaco?
Non ho alcun pregiudizio. Si tratta di capire cosa dovrebbe essere, come sarebbe organizzata e come funzionerebbe. Spetta alle istituzioni decidere come attrezzarsi, non a noi. Potremo dare un giudizio quando capiremo com’è e cosa fa.
E se si accorciassero ancora i brevetti?
Sarebbe singolare insistere, giustamente, sulla necessità che le imprese investano di più, e insieme mettere in discussione il brevetto, l’unico strumento per reperire risorse per la ricerca. Credo senz’altro che i brevetti non debbano essere toccati.
E se arrivasse a un sistema dei prezzi all’inglese?
Si tratta anzitutto di domandarsi se siamo tutti abbastanza anglosassoni per passare al sistema inglese. Intanto mi auguro di non importare pezzetti di riforme dettati dalla contingenza.
Si punta a potenziare la distribuzione diretta.
Io credo che l’Italia abbia un sistema di distribuzione pubblico dei farmaci dei più capillari ed efficaci. La distribuzione diretta in realtà rende meno efficace l’accesso al farmaco per chi ne ha bisogno. Ma diciamolo: l’obiettivo non è di dare un servizio più efficiente. Lo scopo è di ridurre ulteriormente il costo dei farmaci, imponendo alle imprese uno sconto più alto.
Oggi firmate il «Manifesto etico» di Sirchia.
È positivo un patto tra tutte le diverse entità della filiera del farmaco. Si può ragionare su qualche aggettivo e su qualche virgola, ma nella sostanza e nei principi andiamo a firmarlo.
Non è che le imprese hanno ecceduto nel marketing?
Non capisco le accuse sull'”eccesso di marketing”, quasi fosse un reato. Una cosa è non rispettare la legge che la magistratura deve valutare ed eventualmente sanzionare. Ma, pur con tutte le cautele della nostra specificità, le aziende stanno sul mercato per vendere e investire. Per vendere un’azienda impiega le risorse che ritiene necessarie per raggiungere i propri obiettivi. Gli “eccessi” quantitativi di marketing, sono un non problema.