I sindacati di medici, personale sanitario, veterinari, farmacisti e specializzandi lanciano l’allarme: la Finanziaria 2004 non garantisce nemmeno i livelli essenziali di assistenza, il Servizio sanitario nazionale è a rischio.Un cartello di 40 sigle sindacali tasta il polso al Servizio sanitario nazionale (Ssn) e la diagnosi risulta da «codice rosso», ossia di massima emergenza. Medici, sanitari, farmacisti, specializzandi e veterinari, riuniti ieri in conferenza stampa a Roma, lanciano l’allarme sulla salute del Ssn, che stando agli investimenti previsti dalla Finanziaria 2004 non avrà nemmeno i fondi necessari a garantire i Livelli essenziali di assistenza (Lea) su tutto il territorio nazionale. «La novità di questa giornata – precisa Serafino Zucchelli, presidente dell’Associazione dei medici dirigenti ospedalieri (Anaaao Assomed) – è che la quasi totalità delle sigle sindacali hanno dato un giudizio comune sulla situazione attuale della sanità e vogliono dare un messaggio comune a chi governa». Infatti le adesioni vanno dall’Anpo (primari ospedalieri), agli psicologi italiani, passando per Cimo-Asmed, Cisal medici, Cisl medici, Civemp (che riunisce veterinari di medicina pubblica e medici del territorio), Cosime, Federazione medici aderenti Uil fpl, Fesmed, Sicus (sindacato dei chimici della sanità), Sinafo (sindacato dei farmacisti ospedalieri), Snabi sds, fino a Snami ospedalieri, Ugl medici, Umsped e Unione medica. «Stanno arrivando al pettine una serie di questioni – spiega Zucchelli – che mettono a rischio la sopravvivenza stessa del Ssn, ossia quel sistema che ha fatto fare un salto in avanti alla salute dei cittadini e che ci caratterizza come un paese civile». In altre parole la preoccupazione di medici e sanitari è che il Ssn si squalifichi talmente tanto da giustificare un ripensamento della sanità in chiave privata. Del resto le prime avvisaglie di questa prospettiva già si vedono. Basta pensare al decreto legislativo sul riordino degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, 12 in tutto il paese tra cui anche policlinici, che prevede la loro trasformazione in fondazioni. All’ordine del giorno per le organizzazioni sindacali della sanità c’è anche l’ulteriore riduzione dei trasferimenti finanziari agli enti locali, già gravati da 40 mila miliardi di vecchie lire di debiti pregressi sulla sanità non remunerati. La carenza di fondi per la salute pesa al punto che alcune regioni per racimolare qualche soldo stanno optando per la cartolarizzazione degli ospedali o per la vendita di veri e propri gioielli come il Palazzo dei banchi a Bologna. E le regioni calcolano in 150 euro pro capite la riduzione di spesa socio-sanitaria rispetto allo scorso anno. Altra nota dolente sono i reiterati blocchi alle assunzioni: un ospedale che non può reintegrare il proprio organico assumendo un numero di medici e infermieri equivalente a quello di quanti cessano il servizio, infatti, difficilmente può garantire la stessa efficienza e la stessa qualità di intervento. Senza soldi e con personale ridotto, insomma, diventa complicato tutelare la salute dei cittadini come vuole invece l’articolo 32 della nostra Costituzione. Non piace ai camici bianchi neanche la centralizzazione sul controllo delle prescrizioni mediche attribuito al Ministero dell’economia. Michele Russo, medico specializzando, mette altra carne al fuoco: «In tutta Europa solo in Italia i medici specializzandi hanno borse di studio anziché contratti di formazione lavoro». Sulla stesso tema interviene anche Marco Capizzi dell’Amsce: «il contratto di formazione subordinato – spiega – è l’unico che garantisce sia i diritti base dei lavoratori, sia la formazione effettiva degli specializzandi, sia una maggiore qualificazione del Ssn». La protesta dei medici nasce anche da motivi contrattuali: la Finanziaria dà alle Asl la possibilità di stipulare contratti a progetto, senza che questi siano regolamentati da una specifica norma quadro, avviando in sostanza la riforma Biagi nel settore. Il finanziamento per il rinnovo contrattuale della dirigenza medica e sanitaria per il biennio 2002-2003 invece è sottostimato, mentre per il secondo biennio economico (2004/5) mancano previsioni specifiche. Nell’emendamento al disegno di legge delega sulla riforma previdenziale, poi, si introduce il principio dell’omogeneizzazione del sistema di calcolo del trattamento pensionistico tra pubblico e privato, che comporterebbe una perdita tra il 15 e il 25% delle pensioni dei lavoratori dipendenti. Dalla Cisl arriva la richiesta di tornare alla concertazione, ma se il governo non riaprirà il dialogo il cartello dei 40 promette iniziative di lotta più incisive. In attesa di risposte a inizio dicembre i sanitari inizieranno un’offensiva mediatica per convocare subito dopo gli Stati generali della sanità. E se ancora non dovesse bastare i camici bianchi sono pronti a scendere in piazza.