IAC 2012: REPORT DALLA CONFERENZA MONDIALE – ANTICIPAZIONE DELTA 59

Riportiamo come di consueto i principali temi della XIX CONFERENZA MONDIALE, tenuta a Washington dal 22 al 27 Luglio 2012.


“Verso la cura”, trattamento come prevenzione, studi clinici principali. Intervista a M Marcowitz, Direttore della Ricerca dell’Aaron Diamond Center dell’Università di New York.

Simone Marcotullio, David Osorio, Filippo von Schloesser.

Ora che all’orizzonte appaiono concetti nuovi come la profilassi pre-esposizione, (approvata da FDA e OMS), la prospettiva dell’eradicazione del virus e ora che gli USA sono riusciti a cancellare la legge che proibiva l’ingresso nel paese alle persone con HIV, tutti i politici corrono a mettere il cappello sulla seggiola e dichiarano che, come recita lo slogan di questa edizione “TURNING THE TIDE TOGETHER”, dobbiamo bloccare l’ondata insieme.
Hillary Clinton, Ban Ki moon, il presidente della Banca Mondiale, la senatrice Barbara Lee di San Francisco, tutti ora lavorano, si impegnano e promettono fondi per raggiungere l’obiettivo.
Ma ci sono voluti 22 anni per cancellare la legge firmata da G. Bush nel 1990 che aveva impedito, con il divieto di accesso alle persone con HIV, la realizzazione di congressi IAC: dal 1988 nessuna conferenza internazionale aveva avuto luogo nella moderna e liberale America.
I delegati, ventimila, da ogni parte del mondo, hanno festeggiato al Villaggio Globale il recente accesso alla terapia delle popolazioni più emarginate, proprio grazie ai programmi di aiuto internazionali quali Pepfar, deciso inizialmente da GW Bush e finanziato da Obama. Nei loro occhi la speranza di essere Protagonisti degli eventi, i membri della società civile, supportati da governi, iniziative umanitarie, fondazioni, volontari e industrie farmaceutiche, presenti alla Conferenza, tutti per testimoniare che insieme si può sperare in una “AIDS-free generation”.

Treatment is prevention

Concetto ampiamente discusso nelle passate conferenze è stato uno dei motori delle giornate di Washington. Ricordiamo in particolare a tale proposito le parole di Francis Collins, attivista di New York, il quale ha ricordato che, grazie alla capillare distribuzione di farmaci e di siringhe, negli ultimi anni l’incidenza di positività tra le persone che fanno uso di droghe iniettive nella sua regione, è sceso dal 13% all’1%. I Paesi intelligenti cominciano a capire che la prevenzione farmacologica, il profilattico, il test e l’accesso più ampio alla terapia possono essere l’unica arma per diminuire le nuove infezioni e, a lungo termine, ridurre i costi economici e sociali dell’infezione.
L’Italia si può considerare tra questi Paesi?

Verso la cura

Il programma, guidato dalla premio Nobel Francoise Barré Sinoussi, ha catturato l’attenzione di tutta la comunità scientifica. Ha come obiettivo l’eradicazione del virus che per oltre un decennio non aveva trovato uno sviluppo. I 14 programmi di ricerca lanciati in questa direzione prevedono risultati ancora lontani, ma raggiungibili, la comunità scientifica comincia a crederci e richiede finanziamenti adeguati in un periodo difficile per le economie occidentali. Le priorità che l’International AIDS Society ha disegnato, sono le seguenti:

  • Determinare i meccanismi cellulari e virali che mantengono la persistenza dell’HIV, compresi quelli che contribuiscono al mantenimento o alla latenza dell’infezione ed il ruolo della proliferazione omeostatica;
  • Determinare le fonti cellulari della persistenza nelle persone trattate con ART a lungo termine;
  • Determinare le origini dell’attivazione immunitaria e dell’infiammazione in presenza di ART e le ragioni della persistenza dell’HIV;
  • Determinare i meccanismi immunitari dell’ospite che controllano l’HIV, ma permettono la persistenza;
  • Studiare, paragonare e validare i test per misurare la persistenza dell’infezione;
  • Sviluppare e studiare gli agenti terapeutici o le strategie immunologiche per eliminare l’infezione latente senza creare danni alle persone in ART;
  • Sviluppare e testare strategie di rafforzamento della capacità di risposta dell’ospite per controllare la replicazione virale attiva.

    STUDI CLINICI

    CD4 e rischio morte (Drechsler H, abs MOPE113)

    Dai dati della Veterans Cohort emerge che i livelli di CD4 al di sotto dei 700 sono predittori indipendenti di morte per qualunque causa. Questa analisi coinvolge 15714 pazienti americani con carica virale al di sotto delle 400 copie. Altri fattori indipendenti che correlano significativamente ad un aumentato rischio di morte sono la coinfezione con virus epatitico e l’utilizzo di stavudina. Inoltre, chi è aderente alla terapia riduce notevolmente il rischio morte. Da notare che, in confronto a chi raggiunge CD4 > 500, chi invece li ha tra 350 e 499 ha il 70% di rischio aggiuntivo di morte (HR 1.70, 95% CI 1.26 to 2.30). I ricercatori parlano dunque di “necessità di normalizzazione” dei livelli CD4, facendo intuire l’importanza di una intercettazione precocissima delle infezioni, ma soprattutto l’importanza di riuscire, in presenza di terapia antiretrovirale efficace, a mantenere i livelli di CD4 davvero elevati.

    Elvitegravir non inferiore a raltegravir a 96 settimane (Elion R, abs TUAB0105)

    In uno studio in doppio cieco, randomizzato e controllato, la combinazione di elvitegravir (QD) + IP/r + 1 terzo farmaco si è dimostrata non inferiore a raltegravir (BID) + IP/r + 1 terzo farmaco a 96 settimane su 702 pazienti pretrattati con resistenze almeno a due classi e con viremia rilevabile (> 1000 cp/mL). L’IP/r più utilizzato è stato darunavir/r (> 50%), a seguire LPV/r (20%). A 48 settimane, l’efficacia virologica era simile nei due bracci (59% versus 58% con carica virale < 50 cp/mL). A 96 settimane la percentuale di interruzione per qualunque causa è stata elevata in entrambi i bracci (41% versus 42%). La mancanza di efficacia è la spiegazione rispettivamente nel 17% e nel 21% dei casi. La risposta virologica a 96 settimane è stata del 53.6% versus 56.4% (analisi missing = failure). L’emersione di resistenze all’integrasi è stata del 6.6% versus 7.4%. Simili le percentuali di eventi avversi di grado 3-4 (attorno al 24%). Maggiore l’incidenza di diarrea nel braccio con elvitegravir (13% contro 8%).

    Cobicistat non inferiore a ritonavir (Gallant J, abs TUAB0103)

    Come booster di atazanavir in pazienti naive, cobicistat ha fornito prova di non inferiorità rispetto a ritonavir a 48 settimane, se in associazione con TDF/FTC. Lo studio, randomizzato e in doppio cieco, ha riguardato 692 pazienti con carica virale > 5000 cp/mL, qualunque conta di CD4 e eGFR > 70 mL/min. L’obiettivo primario dello studio era la percentuale di persone con carica virale < 50 cp/mL a 48 settimane (rispettivamente 83% versus 85% per il tempo di perdita di risposta virologica). La percentuale di non soppressione è stata del 6% versus 4%. Solo nel braccio con cobicistat sono emerse mutazioni in due pazienti (M184V/I). Gli AEs sono stati 11% versus 7%. Migliore il profilo lipidico dei pazienti assuntori di cobicistat rispetto a ritonavir. 5 su 6 pazienti hanno interrotto lo studio per tossicità renale. Sarà importante monitorare nella pratica clinica gli aspetti di tollerabilità, nonché verificare la percentuale di emersione di ceppi resistenti nei fallimenti.

    Switch da IP/r a TDF/FTC/RPV in singola compressa (Palella F, abs TUAB0104)

    Presentato uno studio (SPIRIT) molto atteso in merito alla semplificazione gestionale del paziente: riguarda lo switch da pazienti con viremia soppressa da almeno 6 mesi che assumono 2 NRTI+IP/r versus la singola compressa (STR) con il nuovo NNRTI rilpivirina. Lo studio è a 24 settimane, randomizzato (2:1), in aperto e ha confrontato coloro che hanno mantenuto il regime versus coloro che hanno cambiato. La non inferiorità virologica è stata al momento provata, per un totale di 476 persone (317 hanno switchato e 159 sono rimasti con il regime del basale). Gli IP coinvolti sono: atazanavir, lopinavir e darunavir. Dopo 24 settimane, il 93.4% dei pazienti nel braccio STR ha mantenuto la non rilevabilità di carica virale plasmatica versus l’89.9% del braccio con IP/r. Migliore, complessivamente, la tollerabilità, specialmente sui lipidi del combinato STR (statisticamente significativa).

    ATV/r + maraviroc a 96 settimane (Mills A, abs TUAB0102)

    Anche se lo studio (A4001078) è piccolo (60 pazienti) e quindi con potenza statistica non adeguata, la combinazione NRTI sparing ATV/r + maraviroc (150 mg QD) su pazienti naive non ha mostrato i risultati attesi versus TDF/FTC + ATV/r. I partecipanti erano pazienti con virus CCR5 tropico, carica virale > 1000 cp/mL al basale e CD4 > 100 cellule. Esclusa al basale le resistenze ai singoli farmaci. A 96 settimane, la carica virale < 50 cp/mL è stata riscontrata rispettivamente nel 67.8% versus 83.6%. Migliore anche il guadagno di CD4 nel braccio con TDF/FTC. Gli eventi avversi di grado 3-4 sono stati rispettivamente del 53.3% versus 32.8%.

    DRV/r + maraviroc a 48 settimane (Taiwo B, abs TUPE099)

    24 i pazienti naive arruolati in questo studio con carica virale al basale tra le 5000 e le 500.000 copie/mL e CD4 > 100 cellule. Tutti avevano virus CCR5 tropico e nessuna resistenza al darunavir/r, ma con possibili mutazioni a NNRTI e NRTI. Il regime somministrato è stato MVC (150 mg QD) + DRV/r 800/100 mg QD. 4 dei 24 pazienti (16.7%) hanno avuto fallimento virologico (ossia VL > 50 cp/mL) alla settimana 48. Anche in questo caso ci si attendeva risultati migliori, tuttavia studi più articolati sono necessari per comprendere meglio l’utilizzo di questa combinazione, forse più adatta in pazienti con viremia non rilevabile.

    QUAD (DeJesus, abs TUPE043 e Sax P, abs TUPE028)

    Il combinato contenente TDF/FTC + elvitegravir + cobicistat si è dimostrato a 48 settimane non inferiore ad Atripla (TDF/FTC/EFV) in uno studio randomizzato. Le percentuali di successo virologico sono state rispettivamente del 88% versus 84% e indipendenti dal livello di carica virale e CD4 al basale. Buono il profilo di tollerabilità di QUAD, così come migliore si è dimostrato il guadagno di CD4 (238 versus 206). In un altro studio sulla stessa tipologia di pazienti e sempre a 48 settimane, QUAD ha dimostrato non inferiorità rispetto al regime TDF/FTC + ATV/r (VL < 50 cp/mL rispettivamente nel 90% e 87%). Analoghe, anche per questo studio, le conclusioni per caratteristiche al basale dei pazienti. Entrambe le ricerche hanno arruolato 700 pazienti.

    Dolutegravir (Raffi F, SPRING-2, TUPE358)

    Presentati i risultati a 48 settimane di questo studio di fase III su 822 pazienti naive, che associa dolutegravir (inibitore dell’integrasi senza booster) 50 mg QD e 2 NRTI (o TDF/FTC o ABC/3TC) versus raltegravir BID (randomizzazione 1:1). La proporzione dei pazienti con carica virale < 50 cp/mL è stata rispettivamente dell’88% versus 85%. Simile tra i bracci il guadagno di CD4 (+230) nonché il profilo di tollerabilità. I risultati sono stati indipendenti dal tipo di backbone utilizzato.

    Raltegravir a 5 anni (J. Rockstroh, STARTMRK, J.J. Eron BENCHMRK, TUPE025)

    Abbiamo più volte già riportato i risultati di questi studi, tuttavia è utile evidenziarne le analisi a 5 anni. Dallo studio STARTMRK, che confronta TDF/FTC + RAL versus EFV su pazienti naive, gli autori concludono che si evince la superiorità di questo regime in termini virologici e immunologici rispetto a quello di confronto. Su pazienti pretrattati, dagli studi BENCHMRK si evince la tenuta di regimi basati sul raltegravir con farmaci di accompagnamento ottimizzati secondo test di resistenza al basale.

    Terapia antiretrovirale in infezione acuta (Markowitz M, abs TUPDB0204)

    Iniziare la terapia antiretrovirale durante la prima settimana di infezione porta ad una normalizzazione dei livelli di CD8 attivati (che esprimono il CD38 e HLA-DR) dopo 48 e 96 settimane, indipendentemente se la combinazione di farmaci ne contiene 3 o 5. Anche il CD14, un marcatore di immunoattivazione, si normalizza. Questo è stato provato in un piccolo studio di 31 pazienti, dei quali 11 hanno assunto TDF/FTC + ATV/r o DRV/r e 21, oltre a questi farmaci, hanno assunto anche MVC e RAL.

    HIV/HCV: risposta agli antiretrovirali durante l’utilizzo di boceprevir + PEG-INF+RBV (J Slim, WEPE053)

    In questo studio su 100 pazienti boceprevir (BOC), nuovo farmaco per il trattamento dell’HCV, è stato somministrato al dosaggio 800 mg TID versus placebo (per il solo BOC) in associazione con Peg-INF + RBV (PR) per 44 settimane in pazienti coinfetti e in terapia antiretrovirale. Nonostante le note interazioni farmacocinetiche tra BOC e gli IP/r, l’utilizzo del farmaco non ha provocato un mancato controllo dell’infezione da HIV. Le diminuzioni osservate dei CD4 sono infatti consistenti con quelle usuali riscontrate nel trattamento con INF e sono simili tra i due gruppi.

    Nuovi farmaci in bambini e adolescenti

    Etravirina (Tudor-Williams G, abs TUAB0204) è stata sperimentata come strategia di salvataggio nello studio PIANO (48 settimane), in associazione con un NRTI e un IP/r. La risposta virologica è stata complessivamente del 56%, simile a quella degli studi DUET su adulti. Migliore il successo terapeutico nei bambini (6-12 anni) che negli adolescenti (12-18), probabilmente a causa dello stadio meno avanzato della malattia.
    Raltegravir (Nachman S, abs TUAB0205) si è dimostrato, in due formulazioni pediatriche, sicuro ed efficace sullo stesso target di pazienti sempre a 48 settimane (bambini fino a 2 anni di età). Lo studio IMPAACT P1066 ha mostrato, a seconda dei gruppi divisi per età e formulazione, una media di successo virologico attorno al 56%, con qualche differenza per gruppo di età e formulazione utilizzata.
    Dolutegravir (Hazra R, abs TUAB0203) a 4 settimane, quindi siamo ancora in fase preliminare, ha mostrato su medesima popolazione di giovani un decadimento virologico, quando associato ad background terapeutico ottimizzato, simile a quello riscontrato negli studi sulla popolazione adulta.

    Vaccino quadrivalente HPV in donne HIV+ (Kojic EM, abs WEAB0203, Kahn J, abs WEAB0202)

    Il vaccino attivo contro i ceppi 6, 11, 16 e 18 di HPV, si è dimostrato sicuro ed altamente immunogenico in uno studio (ACTG 5240) che ha riguardato 319 donne adulte HIV positive con CD4 al basale > 200 cellule. Analoghe considerazioni sono state fatte in un altro studio rivolto a giovani adolescenti, specie se in terapia antiretrovirale. I ricercatori, per entrambi gli studi, concludono in merito all’importanza di attuare precise strategie di vaccinazioni su queste popolazioni.

    Intervista a Martin Marcowitz, Direttore della Ricerca dell’Aaron Diamond Center dell’Università di New York:

    D: Alla luce di quanto vediamo e degli studi in essere, credi che sia realistico pensare all’eradicazione?

    M: Forse sì, ma siamo davvero in una fase molto iniziale.

    D: Dagli studi che stiamo vedendo, ritieni più opportuno trattare durante l’infezione acuta?

    M: L’ho sempre fatto, ne sono un convinto assertore per mille motivi ed ora, dopo gli studi più recenti, ne ho la conferma: con gli strumenti a disposizione riusciamo a gestire gli effetti collaterali, possiamo gestire anche i fallimenti con i 26 farmaci di 6 classi. Bisogna considerare che prima trattiamo una persona, meno si nascondono nei compartimenti le particelle di virus e questa ha meno possibilità di infettare altre persone. Trattare fin dall’inizio non grava troppo sul paziente oggi: entro 2-4 anni dovrò comunque prescrivere la terapia, dunque in un periodo di oltre 50 anni di sopravvivenza, il peso della terapia precoce è ben poco.
    Bisognerebbe spiegare ai governanti che curare subito, oltre a prevenire il danno immunologico individuale, oltre a prevenire costose infezioni nell’individuo, ha l’effetto di prevenire nuovi contagi che a loro volta rappresentano un costo per la società. L’accesso alla terapia precoce non deve essere considerato una spesa, ma una operazione di costo-efficacia. E ormai anche le linee guida americane si sono orientate a raccomandare la terapia anche al di sopra dei 500 CD4.