Il 4 Aprile 2003 Italian Community Advisory Board ha inviato una lettera di protesta a Roche International (cc: Roche Italia) chiedendo la riduzione del prezzo di 52 € / giorno, proposto alla Commissione Unica per il Farmaco (CUF) dalla multinazionale svizzera per il nuovo inibitore della fuzione Fuzeon™. Il 21 maggio 2003 Italian Community Advisory Board ha incontrato Roche Italia per discutere il contenuto della lettera di protesta sottoscritta da 35 organizzazioni (e decine di singoli individui)
Il giorno 11 aprile 2003 David Reddy, HIV Franchise Leader, F.Hoffmann-La Roche AG, ha inviato una risposta alla lettera inviata da Italian Community Advisory Board, senza tuttavia fornire risposte soddisfacenti alle richieste di Italian Community Advisory Board.
Incontro del 21 Maggio 2003
Il 21 Maggio 2003, su richiesta dell’azienda, Italian Community Advisory Board ha incontrato Roche Italia per discutere i seguenti punti all’ordine del giorno:
Fuzeon™ è già stato approvato dalla Food and Drug Administration, ed ha ricevuto il parere positivo da parte del CPMP. In Italia, il dossier registrativo, ancora in attesa di discussione, è stato sottoposto al ministero della salute nel mese di Aprile. Roche spera che il prezzo possa essere discusso prima del mese di agosto (immissione in commercio prevista entro il mese di ottobre 2003). Il dossier registrativo include:
Per quel che riguarda gli investimenti R&D (ricerca e sviluppo) sostenuti da Roche, la multinazionale dichiara di avere investito:
Secondo Roche il sito produttivo di Boulder, Colorado, USA, dedicato solo alla produzione di Fuzeon™, è costato 600 milioni USD; Fuzeon™ è estremamente complesso da produrre (sarebbero necessari 45 Kg di materiale grezzo per produrre 1 kg di enfuvirtide), e i costi di produzione per 1 mese di approvvigionamento sono 10-20 volte maggiori rispetto ad un Inibitore della Proteasi. Tuttavia, ribadiamo che tali dati non sono mai stati sottoposti ad una verifica indipendente, e Roche si è sempre rifiutata di rispondere alla domande degli attivisti su questioni cruciali (i.e. lo sviluppo di un nuovo processo per la produzione di peptidi ha certamente prodotto decine di brevetti; non è chiaro se tali brevetti produrranno profitti tramite trasferimento di tecnologia all’interno dell’azienda e/o sotto forma di royalties qualora tali brevetti venissero utilizzati da altre aziende). Vale la pena di ricordare inoltre che i costi dichiarati per R&D sono quanto di meno trasparente esista al mondo e sono al centro di un acceso dibattito da molti anni (i.e. l’associazione dei produttori dichiara un costo medio di 500 ml USD per prodotto; ricerche indipendenti sostengono che il prezzo non supererebbe i 65 ml USD per prodotto; lo stesso NIH sostiene che le stime delle multinazionali includono voci di spesa che non hanno nulla a che fare con la ricerca e lo sviluppo come, ad esempio, spese di marketing e i cosiddetti “rischi di investimento”). Inoltre, sulla base dei nostri calcoli, gli investimenti verrebbero ammortizzati in 3/5 anni, a fronte dei 20 anni di brevetto (circa 15 anni di sfruttamento commerciale). Roche ha inoltre ammesso di avere utilizzato i dati prodotti dalla Duke University (quando T-20 era ancora di Trimeris) per lo sviluppo di T-20.
Per quel che riguarda i pazienti eleggibili al trattamento con Fuzeon™ la stima di Roche si basa sull’aumento del numero di soggetti resistenti agli ARV, sul meccanismo d’azione di T-20 differente, sull’assenza di interazione con altri farmaci , sul buon profilo di tollerabilità, e sulla via di somministrazione. Trattandosi di un farmaco per pazienti treatment-experienced, il numero di pazienti/anno stimato è di ~2500/anno (6% dei pazienti con HIV in terapia). Il ministero della salute chiede una stima a tre anni; qualora i numeri cambiassero il Ministero può chiedere la ridefinizione del prezzo.
Sulla base di tali stime, basandosi su uno studio di farmacoeconomia incluso nel dossier presentato alla CUF, che utilizza come comparatori farmaci utilizzati per altre patologie, Roche ritiene equo il prezzo di 52 € giorno per paziente (18.980 € anno/paziente).
Roche ha inoltre ci ha presentato i dati relativi all’EAP in Italia:
Sulla base delle informazioni ricevute da Roche nel corso dell’incontro (alcune ancora confidenziali) Italian Community Advisory Board ritiene che:
Italian Community Advisory Board:
Per tale ragione Italian Community Advisory Board chiede che:
A parte la questione cruciale del prezzo gli attivisti si pongono molte altre domande su un farmaco che, sebbene promettente, non è certamente facile da utilizzare.
Le ragioni che ci hanno portato a chiedere a Roche di avviare studi clinici di fase IV sono:
Sfortunatamente T-20 è già stato etichettato come “farmaco di salvataggio”. Prima di confinare il farmaco in una posizione che ne potrebbe limitare l’utilità sono opportune alcune considerazioni.
I risultati degli studi TORO dimostrano chiaramente che T-20 funziona al meglio quando viene assunto in associazione ad altri farmaci efficaci. Ciò significa che il posizionamento ideale di T-20 si colloca probabilmente un pò più indietro nel tempo: non come regime iniziale, probabilmente neppure in seconda linea, ma nemmeno in fallimento troppo avanzato. Idealmente, T-20 dovrebbe essere associato ad un NNRTI in pazienti naive agli NNRTI, o ad un inibitore della proteasi, associato ad un booster di ritonavir, oppure ad un doppio inibitore associato a ritonavir (i.e. LPV/r più un altro IP) in pazienti già esposti agli IP, ma senza grosse resistenze.
Moltissimi pazienti sono già molto oltre questo punto: parliamo di pazienti resistenti a tutte le classi disponibili, un dato che rende difficile, se non addirittura impossibile, costruire una terapia di background alla quale aggiungere T-20. Per questi pazienti, la decisione se utilizzare o meno T-20 dovrebbe essere presa con estrema cautela. Un paziente con carica virale alta ed un numero di CD4 di 10 cellule/mm3, nonostante il trattamento antiretrovirale, potrebbe trarre comunque un beneficio clinico utilizzando T-20, anche se la probabilità di ridurre la carica virale rimarrebbe molto bassa.
Tuttavia, un paziente con molte resistenze e con un numero di CD4 di 200 cellule/mm3 potrebbe rimanere stabile su tali valori anche utilizzando un regime contenente un inibitore della trascrittasi inversa e/o un inibitore della proteasi, conservando T-20 fino al momento in cui sarà possibile combinarlo con altri farmaci ancora in fase di sviluppo. Alcuni farmaci particolarmente interessanti includono gli inibitori non-nucleosidici della trascrittasi inversa di seconda generazione, capravirina e TMC-125, e gli inibitori della proteasi di seconda generazione, tipranavir o TMC-114.
Per i pazienti che hanno ancora qualche opzione terapeutica, utilizzare T-20 troppo tardi, aspettando di giocare Fuzeon® come ultima carta, potrebbe essere dunque un errore. Per chi non ha più alcuna opzione terapeutica potrebbe essere pericoloso usare il farmaco troppo presto, aggiungendolo ad una combinazione inefficace che porterebbe ad una resistenza certa a T-20, rendendo impossibile utilizzare il farmaco nel momento in cui saranno disponibili i nuovi farmaci antiretrovirali di seconda generazione.
Iniezioni due volte il giorno
Trattandosi di un peptide particolarmente complesso, Fuzeon® deve essere assunto tramite iniezione sottocutanea. Se l’aderenza alle terapie assunte per via orale è già difficile, le implicazioni relative all’auto-somministrazione di un farmaco che deve essere iniettato due volte al giorno rendono anche più difficile aderire al trattamento. E’ perciò necessario un programma specifico che faciliti il processo di ricostituzione e auto-somministrazione del farmaco per via iniettiva, e l’esperienza diretta dei pazienti potrebbe essere particolarmente utile per individuare alcuni accorgimenti in grado di semplificare l’assunzione del farmaco.
Ricostituzione
La ricostituzione è uno dei principali fattori che rendono particolarmente difficile l’uso di Fuzeon®. Dopo avere aggiunto l’acqua distillata alla polvere, può essere necessario attendere anche 45 minuti prima che Fuzeon® si dissolva del tutto. Non è chiaro se una ricostituzione parziale possa ridurre o meno l’efficacia del farmaco, e cosa significhi esattamente il termine “completamente” dissolto. L’iniezione di una soluzione non completamente dissolta potrebbe aumentare la probabilità di reazioni locali problematiche? Anche se attendere che il farmaco si dissolva completamente rimane uno dei fattori che rendono particolarmente difficile l’uso di Fuzeon®, è stato recentemente dimostrato che una fiala ricostituita, che per qualsiasi ragione non venga utilizzata immediatamente, può essere conservata nel frigorifero per 24 ore. Di conseguenza è possibile ricostituire simultaneamente 2 fiale, e conservarne una nel frigorifero. In questo modo la fiala immagazzinata, una volta riportata a temperatura ambiente, potrà essere utilizzata senza essere costretti ad aspettare che si ricostituisca. Questa pratica permette di ridurre della metà il tempo di attesa quotidiano.
Viste le difficoltà di produzione, e considerato il fatto che un farmaco di tale complessità non è mai stato prodotto in precedenza, non esiste alcuna garanzia che quantità sufficienti di farmaco possano essere prodotte in tempo per soddisfare tutte le richieste. Roche sta immagazzinando scorte sufficienti per coprire 5 mesi di trattamento per ogni paziente che inizi il trattamento con T-20. Si tratta di un programma rassicurante, che potrebbe aver tuttavia contribuito a determinare il prezzo astronomico fissato da Roche.
La Comunità richiede l’impegno a garantire un accesso informato
Considerato che il numero di pazienti in trattamento con Fuzeon® passerà da 2000 a 15000 entro la fine del 2003, sarà necessario garantire un particolare impegno nello sviluppo e nell’implementazione di programmi di educazione rivolti a medici e pazienti. Finora Roche non ha chiarito se intenda farlo o meno. La formazione dei medici, e l’educazione dei consumatori finali, dovrebbe essere una delle priorità di Roche, ed il programma educativo dovrebbe essere messo a punto prima dell’immissione in commercio del farmaco.
Minimizzare le barriere all’aderenza
Nel caso dei farmaci iniettabili gli aspetti legati alla qualità della vita sono particolarmente problematici. La tendenza è quella di sviluppare farmaci più semplici da usare. Fuzeon® va esattamente nella direzione opposta. I problemi relativa all’aderenza e alla gestione delle reazioni locali problematiche dovrebbero essere affrontati aggressivamente da Roche, con un maggiore investimento nella ricerca su metodi di somministrazione alternativi, e su programmi in grado di informare i pazienti sui metodi più sicuri ed efficaci per utilizzare il farmaco.
Studiare a fondo le reazioni locali problematiche
Secondo i dati forniti dalla stessa casa farmaceutica, le reazioni locali si presentano in quasi tutti i pazienti che utilizzano T-20, e rappresentano senza dubbio il principale effetto collaterale associato al farmaco. Nel 50% dei casi si tratta di reazioni giudicate lievi, mentre l’altro 50% riguarda eventi giudicati moderati o severi. Nel 20% dei casi i noduli sono ancora presenti dopo una settimana. Non sembra esservi alcun miglioramento nel corso del tempo. Le reazioni locali potrebbero essere dovute all’abitudine di iniettare il farmaco troppo vicine alla pelle, nel tentativo di ridurre i noduli. Nel caso in cui le iniezioni fossero troppo profonde vi potrebbe essere un accumulo di cicatrici sottocutanee, probabilmente irreversibile. Alcune persone che utilizzano insulina hanno suggerito di scaldare la siringa e/o il sito dell’iniezione, prima dell’iniezione. In un poster presentato al CROI 2003, relativo ad uno studio sulla patogenesi delle reazioni locali, uno dei risultati era che ogni singolo paziente (su sette studiati) che non aveva avuto reazioni locali “aveva avuto diabete insulina-dipendente e si era auto-iniettato insulina per molti anni, usando le tecniche raccomandate dagli operatori sanitari.” Le reazioni locali non sarebbero altro che iniezioni malfatte? Se così fosse, il programma educativo sviluppato sino ad ora da Roche non ha funzionato. Se invece si trattasse di qualcos’altro (allergia, ecc.), si prega di chiarire di cosa si tratti. La ricostituzione di T-20 ha qualcosa a che fare con le reazioni locali? È a che punto il farmaco, anche se non completamente dissolto, è sicuro ed efficace da usare?
Continuare a studiare la dose ottimale
Negli studi di fase II Trimeris non ha mai definito la dose massima tollerabile, e ha deciso il dosaggio sulla base di valutazioni relative alla tollerabilità, ed al numero delle iniezioni giornaliere. Mentre è abbastanza semplice raddoppiare una dose subottimale di Saquinavir, non crediamo lo sarà altrettanto per T-20. Roche dovrebbe proseguire gli studi e determinare la dose massima tollerabile.
Garantire un accesso equo al farmaco
Roche/Trimeris devono assicurare che la produzione venga aumentata sino a soddisfare la domanda, senza ulteriori ritardi. Roche/Trimeris devono assicurare un rifornimento sufficiente di farmaco per gli studi clinici ancora in corso, per il programma di accesso allargato, e per il mercato globale. Dovrebbe essere inoltre assicurata la quantità di farmaco necessaria a condurre gli studi di fase IV.
Cos’è l’Italian Community Advisory Board
L’Italian Community Advisory Board nasce nel novembre 1999, fondato dai membri italiani dello European Aids Treatment Group (EATG e.V). Il gruppo si propone di promuovere il coinvolgimento delle persone sieropositive nel disegno e nella valutazione delle sperimentazioni cliniche controllate. Pur contando sul sostegno e sull’attiva partecipazione della maggior parte delle associazioni di lotta all’AIDS italiane, il gruppo non si propone di rappresentare nella sua complessità la comunità delle persone con HIV/AIDS, né di sviluppare un’azione politica alternativa a quella già messa in atto delle associazioni dei pazienti. I-CAB si propone di stabilire alleanze e collaborazioni con gli istituti di ricerca e con i singoli ricercatori, ponendo, in tal modo, le basi per una maggiore collaborazione tra la comunità scientifica e le associazioni dei pazienti. I-CAB vuole anche essere un punto di incontro tra associazioni con il chiaro obbiettivo di confrontarsi e convergere su tematiche comuni riguardanti il progresso clinico-scientifico nell’ottica della salvaguardia del diritto, delle persone sieropositive, al miglioramento della propria qualità della vita.
Nel diffondere le informazioni che ci provengono dagli studi clinici e dai nostri incontri, vi ricordiamo, e vi preghiamo di sottolinearlo, qualora diffondeste le informazioni che:
Ogni informazione può essere utilizzata liberamente, purché non a fini di lucro. Tuttavia, qualora decidiate di utilizzare le informazioni diffuse dall’Italian Community Advisory Board, vi invitiamo a citarne, per correttezza, la fonte. Per contattare Italian Community Advisory Board scrivete a i.cab@libero.it
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Fanno parte di I-CAB le seguenti associazioni:
Coordinatrice per il 2002/2003
Alessandra Cerioli debotcha@tiscalinet.it