È stato definito illiberale, illogico, irrispettoso della salute della donna e lesivo della libertà di ricerca. Ma il disegno di legge sulla procreazione medicalmente assistita (Pma) in discussione al Senato è anche discriminatorio per i 110.000 sieropositivi italiani, il 75% dei quali si trova in età riproduttiva. di Anna Meldolesi (*) Questi ultimi rischiano di essere i veri reietti della legge, discriminati due volte perché le loro peculiari esigenze non sono state dimenticate soltanto dagli estensori del testo e dai deputati che l’hanno approvato lo scorso anno, ma anche dal dibattito in corso al Senato e dai media. Nessuno sembra essersi posto il problema di quali conseguenze avrà questa legge per chi convive con l’Hiv.
Con la terapia antiretrovirale combinata la speranza di vita di un sieropositivo si è allungata a circa 20 anni dal momento della diagnosi, facendo
rifiorire desideri di genitorialità impensabili fino a qualche anno fa. E le tecniche di fecondazione assistita hanno fatto il resto, aprendo la possibilità concreta di ridurre al minimo il rischio di infettare partner e nascituro. Ad ogni rapporto non protetto
la partner di un uomo sieropositivo ha una probabilità dello 0.1-0.2% di infettarsi e il rischio diventa serio se il periodo di attività sessuale si prolunga nel tentativo di restare incinta. Lavando lo sperma però si può eliminare il virus presente nel plasma seminale e nelle cellule non spermatiche. Poi si può procedere all’inseminazione intrauterina, ma a volte è necessario ricorrere a procedure più invasive come fecondazione in vitro fertili. Lavaggio e congelamento dello sperma infatti ne riducono la qualità e quindi può essere necessario aiutare artificialmente la fecondazione. Se ad essere sieropositiva è la donna, invece, nel primo trimestre può rendersi necessaria l’interruzione della terapia antiretrovirale per non danneggiare l’embrione e quindi è auspicabile ridurre al minimo i tentativi di procreazione andati a vuoto.
Un trattamento farmacologico ben calibrato, unito al parto cesario e alla rinuncia di allattare al seno riducono la probabilità di trasmissione verticale dal 30 al 2%. Un rischio inferiore a quello di qualsiasi donna sieronegativa di generare un bambino affetto da malformazioni congenite. La fecondazione assistita di donne sieropositive nel nostro paese non è mai stata praticata, ma lo sperm washing è una tecnica italiana, messa a
punto da Augusto Semprini a Milano, dove queste prestazioni attualmente vengono offerte da un centro pubblico e uno privato. Il bilancio di questo approccio è più che positivo: nel mondo sono stati eseguiti oltre 5000 cicli di Pma con uomini sieropositivi, di cui oltre 3000 nel nostro paese che in questo modo ha visto nascere ben 500 bambini senza un solo caso noto di contagio della madre e del nascituro. Poi la tecnica si è lentamente diffusa all’estero e oggi paesi come Francia, Spagna, Gran Bretagna stanno assumendo la leadership in virtù di regolamentazioni più funzionali.
Con il testo licenziato dalla camera però l’Italia rischia di chiudere definitivamente il capitolo: per usare le parole del relatore di maggioranza Flavio Tredese la legge consente il ricorso dopo 12-24 mesi di rapporti non protetti». E non distingue chiaramente tra tecniche di primo livello come l’inseminazione intrauterina e tecniche di secondo livello come la fecondazione in vitro. Insomma non si preoccupa affatto di chi come i sieropositivi deve ricorrere a queste metodiche non soltanto per superare eventuali problemi di infertilità, ma anche per procreare in modo consapevole e sicuro.
Per chi fosse infettato da Hiv e avesse la sfortuna di essere fertile d’ora in poi le porte dei centri di fecondazione assistita rischiano di restare chiuse. Lo stesso destino toccherà ai portatori di gravi malattie genetiche o di anomalie cromosomiche, che ora possono scegliere tra due strade: la procreazione naturale, seguita da diagnosi prenatale ed eventualmente da un’interruzione di gravidanza che consente di sottoporre gli embrioni prodotti in vitro a diagnosi preimpianto e selezionare quelli sani per il trasferimento in utero. Ancora una volta chi è fertile perde il diritto di avvalersi della Pma e questo significa, per esempio, che in Sardegna 250.000 portatori sani
di talassemia si vedranno privati del diritto a scegliere la seconda opzione. Con il risultato che continueremo a sacrificare feti al posto degli embrioni: su 6000 diagnosi prenatali eseguite finora a Cagliari 1502 hanno avuto esito infausto e praticamente tutte le donne hanno deciso di abortire. Il divieto di affidarsi alla fecondazione eterologa infine farà molte vittime, ma risulterà particolarmente doloroso per i giovani malati di cancro sottoposti a cure che ne pregiudicano in via definitiva la capacità riproduttiva. Un ventenne su 1000 è un “sopravvissuto” a tumori dell’infanzia o dell’adolescenza e la fecondazione eterologa sarebbe stata la sua unica chance.