In un’epoca di certezze cadute, in cui istituzioni, politica e società occidentali stanno ridefinendo la propria identità, la scienza ha travalicato i limiti in cui era confinata un tempo, ha un ruolo prezioso ma non ha ricette o formule magiche da proporre.E’ quanto dice Bruno Latour, sociologo e antropologo francese, tra i principali studiosi del rapporto tra scienze e società, spiegando che la prima può semmai insegnare un metodo per gestire l’incertezza, che è quello di non cercare dogmi ma convivere col dubbio e progredire grazie ad esso. Latour è stato protagonista – al Politecnico di Milano – di una conferenza organizzata con la Fondazione Bassetti, che giocando su un’ambiguità dell’inglese (assembly può significare sia assemblea che assemblaggio), col titolo “Assembly or assemblage? Politics and Politechnics” si ripropone di far riflettere sul principio che non vi possa essere innovazione senza una forma rappresentativa, una sorta di “Parlamento delle cose” per le nuove democrazie tecnologiche. “Difficile decidere come combattere il riscaldamento globale del pianeta con le teorie di Karl Popper”, ha detto a Reuters Latour, facendo riferimento al pensiero del filosofo austriaco. E ammettendo che la stessa filosofia della scienza può rivelarsi inadeguata per i problemi attuali. Perchè dopo tutto è vecchia solo di un paio di secoli ed è nata per contrapporre una propria visione a quella della religione.
UN PIANETA “LABORATORIO
Non che il rapporto tra scienza, tecnologia e questioni politiche sia una novità, da Leonardo in poi, dice Latour. Lo studioso sottolinea come per gli scienziati sia venuto meno quello che in passato era un cardine del loro pensiero: scrivere le regole del metodo pensando ad un luogo chiuso, il laboratorio, per un gruppo di esperti impegnati a provare e ripetere esperimenti in scala prima di diffondere i risultati ottenuti. Oggi invece, ricorda Latour, il “laboratorio” è il pianeta stesso, si sperimenta in case, ospedali e industrie, geologi e naturalisti possono fare misurazioni attraverso una rete di satelliti. Col risultato di ridurre drasticamente il diaframma tra storia naturale (scienza esterna) e scienza di laboratorio. Inoltre, dice ancora Latour, molte più persone fanno domande ed esercitano pressioni sugli scienziati, dalla ricerca sull’Aids agli organismi geneticamente modificati. Un fattore questo che ha ribaltato un caposaldo dell’imprenditoria scientifica. Visto che ingenti investimenti nella ricerca in un settore possono essere vanificati, malgrado i risultati, da una reazione negativa dell’opinione pubblica, come nel caso degli ogm. Questa uscita in campo aperto della scienza nella vita quotidiana, dice Latour, spaventa molti umanisti che sognano una separazione tra controllo della scienza e regno dei valori umani, una divisone tra “persone e cose” che invece il sociologo francese definisce un incubo, difendendo il principio del progettare cose in contatto col mondo dell’uomo.
SCIENZA E POLITICA SENZA DOGMI
Se la scienza fatica a trovare una formula ideale nel rapporto con la società, la politica non è meno anacronistica, visto che “abbiamo inventato una soluzione per le elezioni, per le tasse, il consenso… non certo per come vada fatta la scienza o la tecnologia”, dice ancora Latour. Che individua nei contrasti e le contraddizioni dell’attualità spunti di riflessione. Come nella vicenda della ricerca di armi di distruzione di massa in Iraq. “Il capo degli ispettori Onu Hans Blix aveva definito un metodo di ricerca e si è dimostrato più avanzato politicamente e scientificamente del presidente Usa George W. Bush che l’ha voluto interrompere”, dice lo studioso a proposito della controversia con la quale l’amministrazione Usa ha deciso l’intervento in Iraq, denunciando la presenza di armamenti che gli ispettori Onu non avevano trovato e che dopo l’occupazione non sono più spuntati fuori. Forse è il procedere senza dogmi ma alla ricerca di una verità non preconcetta, la regola che la politica può mutuare dalla scienza, fa capire Latour. Ricordando che il principio di precauzione adottato dai Paesi europei può essere proprio il nuovo modo di essere all’interno dell’Europa. “L’Unione Europea lo sta usando per parlare di noi stessi. Ed è diventato un modo per definire la propria identità”.