Nella giornata mondiale di lotta contro la malattia si è fatto un gran rumore sul vaccino patriottico, e silenzio assoluto sull’utilità del preservativo. E in Africa, la tragedia continua. Anche quest’anno lo slogan mondiale per la giornata della lotta all’Aids del primo dicembre è stato «Vivi e lascia vivere». E anche quest’anno lo scandalo principale è che milioni di persone vengono invece lasciate morire quando in gran parte avrebbero potuto sopravvivere dignitosamente. E’ di pochi giorni fa la notizia del veto degli Stati uniti a una risoluzione Onu a difesa della gratuità delle terapie anti Aids, che nei paesi più poveri rappresenta l’unica vera chance di fermare la strage. Il presidente Bush ha promesso 15 miliardi di dollari per contrastare la diffusione dell’Hiv, ma intanto il suo governo fa tutto quello che può per impedire che il problema dell’accesso ai farmaci antiretrovirali venga risolto alla radice. La disponibilità di questi farmaci ha abbattuto del 90% la mortalità per Aids a breve termine nei paesi ricchi, mentre all’Africa subsahariana, dove le medicine non ci sono, appartengono più di due dei circa tre milioni di morti censiti in tutto il mondo negli ultimi dodici mesi. E’ logico concludere che la politica dei veti che gli Stati uniti conducono, ancor più che all’Onu in sede di negoziati Wto, abbia qualche responsabilità in merito. Gli esperti intanto dicono che non abbiamo ancora raggiunto il picco di espansione dell’epidemia e prevedono ulteriori disastri in Africa, Asia e Europa dell’est. Particolare sconforto suscita la situazione africana, dove secondo le proiezioni più recenti tra il 2000 e il 2020 cinquantacinque milioni di persone moriranno prima di quanto non accadrebbe se l’Aids non esistesse. Gli sforzi per impedire che queste cifre diventino realtà sono una goccia nel mare. Recentemente il Sudafrica ha varato un piano nazionale anti Aids che prevede anche la distribuzione gratuita di farmaci antiretrovirali, ma per ora si tratta di un esperimento che riguarderà solo 50.000 persone, in un paese dove si registrano 600 morti di Aids al giorno.
Fonte di grandi timori è anche la Cina, circondata da ulteriori diffidenze per via della vicenda Sars. I dati ufficiali parlano di 840.000 infezioni da Hiv e di 80.000 morti dall’inizio dell’epidemia, ma altre stime parlano di un milione e mezzo di casi, che in assenza di interventi di contrasto adeguati potrebbero diventare dieci milioni entro sette anni. Il governo cinese si è così deciso a rimuovere gli scrupoli morali che qualche anno fa avevano portato alla sospensione delle campagne televisive per la prevenzione dell’Aids. E il preservativo è tornato in tivù, in uno spot che decanta la sicurezza del sesso sicuro.
E’ già più di quanto stia facendo il governo italiano, che nelle sue analoghe campagne il profilattico preferisce evocarlo, anziché consigliarlo troppo esplicitamente, per non urtare la sensibilità di nessuno. Da noi certo l’allarme Aids ha tutt’altro aspetto. Il numero dei morti è crollato grazie alle terapie e gli 848 nuovi casi di malattia conclamata registrati negli ultimi sei mesi non fanno venire in mente a nessuno scenari apocalittici. Tuttavia gli esperti avvertono che il problema non è risolto. L’Hiv non è più lo stigma di pochi emarginati, ma la realtà quotidiana di decine di migliaia di persone di ogni cultura, classe sociale e fascia d’età. Si pensa che ci siano circa 100.000 sieropositivi, molti dei quali non sanno neppure di esserlo perché non hanno fatto il test. Questo dovrebbe indurre a investire nella prevenzione, ma in epoca di crisi finanziaria avviene il contrario. Il governo quest’anno non ha finanziato i progetti di prevenzione mirata tradizionalmente gestiti da associazioni di volontariato e destinati a gruppi di popolazione specifici (come tossicodipendenti e omosessuali). Punta tutto su una campagna pubblicitaria generalista, con un messaggio generico sulla sofferenza delle persone sieropositive.
D’altra parte, in tema di Aids, a questo primo dicembre si addice più l’orgoglio patriottico che la responsabile preoccupazione. E’ stata infatti avviata in questo giorni la sperimentazione di un vaccino italiano su un gruppo di volontari. «Per reclutare poche decine di persone – dice Vittorio Agnoletto, responsabile scientifico di Lila Cedius – hanno creato un numero verde, pubblicizzato in televisione e sui giornali, senza rendersi conto delle aspettative sproporzionate che potevano suscitare. Cercando i volontari attraverso i mass media si rischia di avere molti più candidati del necessario, deludendo le speranze di chi viene scartato. Inoltre non è stato specificato se questo vaccino sarà un cosiddetto vaccino terapeutico oppure un vaccino vero, cioè preventivo, né che l’attuale prima fase di sperimentazione, per la quale si richiedono i volontari, serve a valutare la sicurezza del vaccino e non la sua eventuale efficacia. Ma bisognava fare un annuncio eclatante per esaltare il vaccino italiano».