Decimati gli agricoltori, la produzione ha subito un drastico calo. Le ultime statistiche mostrano che oltre la metà delle persone affette da Hiv-Aids vivono nelle aree rurali, dove le famiglie colpite incontrano grosse difficoltà nel produrre il cibo necessario per sopravvivere. Un tempo problema in buona parte urbano, nei paesi in via di sviluppo l’Aids si è diffuso nelle aree rurali, devastando migliaia di comunità agricole e lasciando i superstiti impoveriti in una situazione che mette a repentaglio la loro capacità di nutrirsi a sufficienza. La malattia non è più soltanto un problema sanitario, ma ha effetti rilevanti sulla produzione di cibo, sulla sicurezza alimentare delle famiglie e sulla capacità della popolazione rurale di procurarsi i mezzi di sussistenza. Gli ultimi dati statistici pubblicati dal Programma congiunto delle Nazioni Unite sull’Hiv-Aids (Unaids) nell’Africa
subsahariana – la regione più gravemente colpita – confermano le dimensioni dell’impatto dell’epidemia nelle campagne. L’Unaids calcola che oltre la metà dei 28 milioni di persone affette da Hiv nell’Africa subsahariana vive nelle aree rurali. Due dei Paesi più duramente colpiti dal virus sono Zimbabwe e Swaziland. Nel primo il 31,4 per cento delle donne residenti nelle aree rurali sono Hiv positive, nel secondo il 32,7 per cento. In uno studio (finanziato dalla Fao) commissionato dal ministero dell’Agricoltura, Zootecnia e Risorse ittiche dell’Uganda, i ricercatori hanno esaminato 300 famiglie in cinque distretti rurali nella seconda metà del 2001. La stragrande maggioranza di queste famiglie (91 per cento) avevano perso uno dei loro membri nel corso dei dieci anni precedenti, e perlopiù si trattava di persone comprese nella fascia d’età tra i 20 e i 35 anni. Il 56 per cento delle morti era stato causato dall’Aids. L’autore dello studio, Narathius Asingwire, dell’Università
Makerere di Kampala, dice che la morte di un numero così grande di agricoltori nel fiore degli anni ha conseguenze di vasta portata per il Paese, perché l’agricoltura rappresenta il 43 per cento del Pil, l’85 per cento dei proventi delle esportazioni e
l’80 per cento dell’occupazione. Inoltre, l’85 per cento dei 22 milioni di ugandesi vive nelle aree rurali e dipende principalmente dall’agricoltura. Richieste di commentare gli effetti del virus sulla loro economia domestica, due famiglie su tre hanno risposto che ora coltivano meno cibo; oltre i due terzi hanno riferito una diminuzione delle colture destinate al mercato; e più della metà ha detto che mangiava di meno. C’è un dato statistico che chiarisce la natura dei guai in cui si trovano molti campagnoli senza terra che dipendono per sopravvivere da lavori agricoli occasionali: l’85 per cento degli intervistati ha detto che aveva ridotto il numero delle braccia impiegate nelle loro fattorie. Uno degli intervistati, l’ottantenne Paulo, mantiene cinque giovani nipoti resi orfani dall’Aids. Ha una piantagione di banane, che però per la maggior parte della sua estensione è invasa dalle erbacce a causa della mancanza di braccia. La Fao sta attualmente preparando dei progetti pilota che
sperimenteranno tecniche risparmiatrici di lavoro e forme di produzione agricola a bassi livelli di input nelle comunità africane e asiatiche duramente colpite dall’epidemia. Tra le altre priorità del programma Fao per l’Hiv figurano la creazione
di istituzioni che aiutino le comunità rurali, il miglioramento della dieta, e interventi miranti ad affrontare il problema delle diseguaglianze di genere nell’accesso alle risorse produttive (specialmente la terra) e ad aiutare le comunità decimate a trovare il modo di trasferire le loro conoscenze agricole alle giovani generazioni.