«Sto mangiando degli ottimi polli ruspanti a 1,6 euro con un rapporto qualità prezzo straordinario». Fabrizio Soscia, dirigente di malattie infettive all’ospedale “Santa Maria Goretti” di Latina, un’emergenza per la psicosi dell’aviaria ce l’ha: pazienti e colleghi che chiedono con maggiore insistenza rispetto al solito se quest’anno è il caso di vaccinarsi: «E’ l’unica cosa che ho notato, una sorta di corsa al vaccino, per il resto sia in reparto sia al pronto soccorso non arrivano persone preoccupate per l’aviaria, del resto ci ha pensato già la televisione a banalizzare e così c’è chi per evitare problemi non mangia il pollo. Niente di più sbagliato».
La “corsa” al vaccino, allora: «Mi sorprendono i colleghi che prima non si vaccinavano, commettendo un errore, e adesso vengono a chiedere se è il caso di farlo, mentre dai cittadini con quello che sta succedendo a livello mediatico c’è da attendersi una richiesta maggiore. La necessità di vaccinarsi resta per le categorie a rischio, gli anziani sopra i 65 anni, i malati cronici, insomma chi ne ha bisogno perché con le complicazioni di una normale influenza si può morire e i dati lo dimostrano, mentre l’aviaria è un pericolo assolutamente remoto.
Diverso il discorso dei medici – aggiunge – che devono vaccinarsi se non altro per non trasmettere ai pazienti l’eventuale malattia». Insomma, l’influenza aviaria è solo una gran montatura? «No, solo che nessuno ci ha mai detto che non si può mangiare la carne di pollo ma si continuano a mandare immagini di animali da abbattere, il messaggio è sbagliato». Cosa fare allora? «L’influenza aviaria è stata scoperta in Italia alla fine dell’800, è una malattia dei polli che si rischia di contrarre solo se si vive materialmente con gli animali, non è ancora provata la trasmissione tra uomini e nei casi che vengono segnalati parliamo sempre di persone della stessa famiglia che sono con i medesimi polli.
Da tre anni a questa parte c’è un problema nell’area del sud est asiatico, stanno morendo numerosi animali e ci sono stati decessi anche di uomini. Bene, se pensiamo ai miliardi di polli che possono esserci in quella zona del mondo, unitamente ai miliardi di cittadini e poi verifichiamo che in tre anni ci sono stati 100 casi sull’uomo e cinquanta morti è chiaro che l’allarme è sproporzionato».
Ma allora tutto quello che sentiamo, la corsa ai vaccini, il livello di attenzione alto? «E’ giusto, l’organizzazione mondiale della sanità avverte del pericolo pandemia ed è bene preoccuparsene per tempo, solo che è un’ipotesi molto ma molto remota. Per fare un esempio è come il rischio di incidente in una centrale nucleare, bassissimo ma se avviene occorre essere pronti. Il problema è un altro – conclude Soscia – questa storia dell’influenza aviaria è nulla rispetto all’Aids, alla tubercolosi o alla fame nel mondo che sono problemi reali». E noi buttiamo i polli…
Aids: ogni 2 ore un italiano si infetta ma lo scopre tardi
Ogni due ore un italiano contrae l’Hiv e va ad aggiungersi ai 120 mila sieropositivi che oggi vivono nel nostro Paese. Ma un malato su due dichiara di essersi sottoposto al test troppo tardi, vivendo da sieropositivo per anni senza saperlo.
Dilagano i comportamenti a rischio, perchè la gente è convinta che l’Aids sia stato sconfitto. E sempre più persone scoprono di aver contratto il virus solo quando, sentendosi male, vanno dal medico, dopo aver condotto per mesi o anni una vita normale senza prendere precauzioni.
Per far fronte al problema bisogna riportare la questione Aids in primo piano, perchè se i successi della terapia antiretrovirale hanno posto la malattia sotto controllo, questo non significa che sia stata risolta.
L’allarme resta alto soprattutto perchè quanto meno si parla di Aids tanto più si diffonde l’idea che sia scomparso o che sia curabile. Così cresce il numero di malati insospettabili: gli “untori inconsapevoli”, come li ha definiti Gianni Rezza dell’Istituto Superiore di Sanità. Uomini con i capelli bianchi, non appartenenti alle tradizionali categorie a rischio, che non usano alcuna precauzione e contribuiscono a diffondere il virus, senza sospettare minimamente di essere sieropositivi fino a quando la malattia non si manifesta.
La regione dove ci si ammala di più è la Lombardia (171 casi nel primo semestre 2005), seguita dall’Emilia Romagna, Umbria, Liguria e Toscana. In Valle D’Aosta e in Molise il virus si diffonde pochissimo visto che non sono stati registrati casi di nuovi sieropositivi.