Il dibattito sul libero accesso agli articoli scientifici sta approdando rapidamente ai media principali, come dimostra la recente pubblicazione di un editoriale sul New York Times.Mentre l’entusiasmo aumenta, tuttavia, gli scettici si chiedono se i giornali a libero accesso saranno finanziariamente sostenibili, dato che si basano su tariffe di pubblicazione degli articoli piuttosto basse, pagate a monte dal ricercatore, invece degli esosi abbonamenti delle biblioteche istituzionali. Se tali entrate non riuscissero a coprire i costi di base della pubblicazione, le riviste a libero accesso potrebbero fare la fine dei molti servizi gratuiti offerti dalle imprese “dot.com” durante la bolla di Internet, avverte Michael Held, direttore esecutivo della The Rockefeller University Press in un editoriale recente nel Journal of Cell biology.
Ma i promotori del libero accesso confidano di poter coprire i costi di pubblicazione senza conti in rosso. Plos prevede di far pagare 1500$ per articolo sottomesso. BioMed Central, partner di The Scientist, chiede 500$ per articolo e recupera i costi grazie ai servizi offerti. BioMed Central inoltre offre accordi a enti di ricerca che permettono al ricercatore di pubblicare gratuitamente nelle oltre 90 riviste di BioMed Central.
Mentre i critici affermano che gli scienziati non saranno disposti a pagare tariffe a monte della pubblicazione, poiché tali soldi probabilmente verranno sottratti ai finanziamenti per la ricerca e limiteranno altre attivita’ scientifiche, i promotori del libero accesso rispondono che tali tariffe sono paragonabili a quelle che certi giornali applicano oggi per aggiungere immagini a colori o altre servizi.
La maggior parte degli enti, compresi i National Institutes of Health (NIH) e la National Science Foundation, gia’ adesso permettono ai ricercatori di utilizzare i soldi loro assegnati a scopo di pubblicazione, secondo Micheel Eisen, un genetista al Lawrence Berkeley National Laboratory, ricercatore in Bioinformatica alla University of California, Berkeley, e fondatore di Plos. “Gli enti di ricerca stanno gia’ pagando i costi della pubblicazione”, afferma Eisen, “solo che lo fanno in maniera indiretta”.
Quando la pubblicazione a libero accesso sara’ piu’ diffusa, dice Eisen, “le universita’ potrebbero pensare di aprire il portafoglio invece di usare i soldi dei contribuenti per i costosi abbonamenti alle riviste. Le universita’ inglesi hanno gia’ sottoscritto un accordo con BioMed Central che permette a ogni ricercatore nel Regno Unito di pubblicare in una rivista della BioMed Central senza pagare i costi di pubblicazione. Molte importanti universita’ americane hanno fatto un simile accordo con BioMed Central.
Se gli enti garantissero fondi esplicitamente dedicati ai costi di pubblicazione, Held esaminera’ piu’ attentamente il modello del libero accesso. “Credo, tuttavia, che i finanziamenti necessari saranno molto maggiori di quelli che oggi chiede Plos per sostenere un’impresa commerciale”, aggiunge.
L’Howard Hughes Medical Institute (HHMI) mette a disposizione dei suoi scienziati 3000$ dollari da spendere in pubblicazioni a libero accesso. “Pensiamo che la pubblicazione a libero accesso abbia un grande potenziale”, afferma Thomas Ceh, presidente del HHMI.
Finora, nessun ente governativo USA ha aderito all’iniziativa. Ma la National Library of Medicine e’ da tempo impegnata nella costituzione di archivi a libero accesso, attraverso la sua banca dati di citazioni, PubMed e, piu’ recentemente, con il suo archivio di articoli a libero accesso, PubMed Central. Tali servizi sono gestiti dal Centro Nazionale per l’Informazione Biotecnologica. Il direttore, David Lipman, ha affermato a The Scientist che sta ora lavorando con un gruppo del NIH per proporre le diverse opzioni al direttore del NIH Elias Zerhouni.
Mentre le universita’ esprimono ottimismo e gli editori delle riviste tradizionali si mostrano scettici sulla sostenibilita’ economica della pubblicazione a libero accesso, pochi da entrambe le parti si chiedono quanto costi pubblicare un articolo scientifico.
“E’ una domanda davvero difficile”, risponde John Willinsky, un economista della University of British Columbia. Ogni giornale usa metodi leggermente diversi per la contabilita’ dell’edizione, della correzione, dell’impaginazione, dei servizi telematici e altre attivita’.
Usando i registri del fisco, tuttavia, Willinsky ha svolto un’analisi dei costi di pubblicazione in rapporto ai costi operativi totali delle associazioni accademiche. Sulle 20 associazioni osservate, 14 non ottengono sufficienti guadagni dalle loro riviste (attraverso abbonamenti e royalties) per compensare i costi di pubblicazione e spesso utilizzano tasse di iscrizione e altre fonti per sostenere le riviste.
Se le sovvenzioni sono gia’ necessarie per pagare i costi delle pubblicazioni delle associazioni scientifiche, la domanda diventa “come si potra’ pubblicare riviste senza i finanziamenti degli abbonamenti delle biblioteche?”. “Mi pare che un editore nel modello a libero accesso debba far pagare l’autore, cosi’ come si fa ora con le tariffe per i colori sulla base dei costi reali, se si vuole che un simile modello d’impresa funzioni”, afferma Held.
“E’ praticamente impossibile fissare una tariffa per articolo che abbia un senso”, dice. “Oggi, pubblicando su carta e online, i nostri autori possono pagare una somma significativa, che avvicina quella suggerita da Plos se l’articolo e’ lungo con molte figure a colori. Chiaramente, il costo totale per singolo articolo sara’ molto piu’ alto delle stime di Plos”.
I pionieri del libero accesso, come BioMed Central, hanno individuato i costi legati alla produzione di una rivista cartacea, usando il tradizionale procedimento per esaminare i manoscritti dalla “peer review” alla pubblicazione, e hanno sviluppato software in grado di automatizzare il processo di peer review e le altre dispendiose attivita’ necessarie a produrre un articolo. Cio’, insieme alla pubblicazione esclusivamente online, permette loro di ridurre i costi della pubblicazione.
Willinsky crede che questa sia la strada giusta. “Il paradosso per me e’ che i costi principali per fare una rivista – editori, autori e peer review – sono gratuiti”, dice Willinsky, che ha sviluppato un simile
software, denominato Open Journal System. “Se si riducono i costi per tutto il resto, ci si puo’ permettere di pagare il personale necessario”.
Un modo di diminuire i costi e’ di interrompere la pubblicazione cartacea delle riviste, dice Willinsky. “Il paradigma nato intorno alla carta stampata potrebbe non essere quello giusto”, dice Paul Uhlir, direttore dell’Ufficio dei Programmi Internazionali di Informazione Scientifica e Tecnica alle National Academies of Science. Aggiunge che in quest’area le National Academies intendono fare studi ulteriori.
Gli editori commerciali non fronteggiano solo la concorrenza delle riviste a libero accesso, ma anche la concorrenza tra editori tradizionali stessi. Alcuni economisti vedono nella pubblicazione scientifica un mercato maturo. “Il consolidamento e’ inevitabile”, dice Joseph Esposito, presidente della SRI Conuslting a Menlo Park, CA. Aggiunge che il consolidamento potrebbe risultare nella vittoria degli editori commerciali sugli editori no-profit e a libero accesso.
Ma Peter Suber, un difensore del libero accesso all’Earlham College di Richmond, Ind., afferma che anche se gli editori a libero accesso saranno sconfitti dagli editori commerciali, la loro produzione precedente rimmarra’ di pubblico dominio. “Anche se non avranno vita eterna, le riviste a libero accesso danno una garanzia di longevita’ piu’ credibile rispetto alle riviste a pagamento”, dice Suber, “le cui licenze impediscono alle biblioteche di archiviarle per la conservazione di lungo periodo”.