Ci sono ancora nuove prove che il virus dell’epatite G rallenta la progressione dell’HIV. Alcuni mesi fa la rivista New England Journal of Medicine rendeva noto uno studio retrospettivo, relativo ad un arco di tempo di 15 anni, secondo il quale essere infettati da una particolare varietà di epatite può aiutare i pazienti di HIV a vivere più a lungo. A condurre lo studio erano stati alcuni scienziati statunitensi che avevano esaminato i dati di 271 pazienti positivi all’HIV scoprendo che quelli con l’epatite G stavano meglio di quelli senza il virus ed avevano meno probabilità di sviluppare l’AIDS o di morire a causa della malattia. Ora un altro studio, almeno il decimo del genere, apparso in questi giorni su Lancet, chiarisce il meccanismo in base al quale un virus combatte un altro virus. Ebbene, si tratta della stimolazione di chemiokine. I ricercatori ritengono che il virus dell’epatite G (GBV-C) potrebbe essere opportunamente modificato per ridurne i pericoli e rallentare la progressione dell’HIV verso l’AIDS. Il virus G, secondo gli studiosi, farebbe aumentare alcune proteine, dette chemiochine, in particolare la Rantes (“regulated on activation, normal T cell expressed and secreted”). La Rantes occupa i corecettori CCR5 sulla superficie dei CD4, in modo che l’HIV non entri nella cellula. Si tratta, dunque, di un “inibitore della fusione” naturale in quanto, occupando i siti sui CD4, previene la fusione del virus con la cellula CD4. Se inibita con anticorpi, quindi, la RANTES fa perdere l’effetto protettivo del virus G.