La Cellegy Pharmaceuticals Inc ha annunciato che Family Health International (FHI) ha intenzione di sospendere lo studio di fase III condotto in Nigeria sul microbicida chiamato “Savvy(R)” (C31G vaginal gel), studio che doveva servire a determinare se Savvy era sicuro ed efficace per ridurre il rischio di acquisire l’infezione da HIV da parte di donne. Lo studio era finanziato dall’Agenzia per lo sviluppo internazionale degli Stati Uniti (USAID).
Ragione: il comitato esterno indipendente per la valutazione del monitoraggio dello studio (DMC) ha infatti concluso che lo studio non avrebbe portato a poter esternare in merito al fatto se il prodotto valutato avrebbe o meno protetto contro l’HIV. Nessun segno di efficacia nell’analisi interinali dei dati. Si è riscontrato solamente una percentuale più bassa di infezione da HIV in tutti i partecipanti lo studio rispetto a quella della popolazione locale (3.7% versus 2%), evento che probabilmente è da ascrivere a tutte quelle procedure messe in atto in studi di questo tipo (counselling specifico, distribuzione di profilattici, ecc…).
Lo studio era importante in quanto aveva arruolato in un paese africano (Nigeria) 2152 donne e confrontava Savvy versus placebo.
Sullo stesso prodotto è in corso un altro studio di fase III negli USA per un uso contraccettivo.
Commento di Nadir: questo evento di sospensione di uno studio di fase III che confrontava, su grandi numeri, uno “prodotto” (in questo caso un microbicida) versus placebo per prevenire l’infezione da HIV è un evento che rammarica e preoccupa. Ricordiamo un paio di anni fa quando abbiamo assistito al fallimento degli studi su AIDSVAX (un candidato vaccino anti AIDS), già in fase avanzata di sperimentazione. Forse è necessario porsi delle domande a priori su come sperimentare questi prodotti (vaccini o microbicidi che siano). Occorrono attente valutazioni sul disegno di questi studi: come fare a bilanciare la necessità di fare counselling specifico ed intraprendere tutte quelle azioni necessarie per garantire e promuovere nello studio certi tipi di comportamenti (azioni sacrosante e necessarie) e far sì, contemporaneamente, di non avere bias pesanti per la valutazione dell’efficacia di un prodotto di protezione ? Probabilmente la sfida futura è proprio quella di tentare di disegnare degli studi che coinvolgano un numero di persone realistico (1000 persone ?) prima di passare a studi più ampi. Un numero di persone che permetta però inequivocabilmente di poter esternare in merito alla “prima tendenza di efficacia” di un prodotto, avendo cura di bilanciare le azioni a tutela del partecipante allo studio con quelle invece necessarie per la valutazione di efficacia. Non è semplice coniugare questi due concetti, tuttavia sono quesiti da porsi alla luce del fatto che le risorse investite in questi studi sono tantissime e non si è ancora riusciti ad esternare nulla di conclusivo in proposito. Il parallelismo può sembrare improprio e dissacrante, tuttavia talvolta ci si mette “scientificamente ed eticamente” in situazioni e contesti che dovrebbero far riflettere. Qualcuno, a commento di quanto prima comunicato, ha semplicemente detto:”E’ come testare un contraccettivo in un convento di sole suore di clausura, dove nessuna suora può quindi uscire ed entrare dal convento…oltre la safety (sicurezza) non si può valutare, per definizione, l’efficacia in un contesto simile”. Onestamente concludiamo dicendo che vi è da riflettere molto…qui “la ricetta miracolosa” non ce l’ha nessuno!
Fonte: FHI