MILES TO GO

Abbiamo chiesto al Prof. Stefano Vella, pioniere dell’accesso alla terapia in Italia e in molti altri paesi fin dagli anni ’90, se ritiene che si siano attivati strumenti sufficienti per la sconfitta dell’HIV e se oggi sia realistico pensare che le Nazioni Unite riusciranno a raggiungere gli obiettivi che si sono preposte per la salute globale.

IL FALLIMENTO DELL’OBIETTIVO
“Miles to go” è il titolo dell’ultimo report dello UNAIDS, che ha finalmente riconosciuto che la strada per abbattere la diffusione del virus è ancora lunga. E che la sconfitta dell’AIDS come problema di Sanità Pubblica, contenuta nei Sustainable Development Goals, non sembra un obiettivo realistico raggiungibile nel 2030, senza un radicale cambiamento di rotta (UNAIDS. Latest statistics on the status of the AIDS epidemic. 2018. http://www.unaids.org/en/resources/fact-sheet (accessed June 21, 2018).

Sono concetti che ho scritto nel 2016, dopo la Conferenza Mondiale sull’AIDS a Durban e 16 anni dopo la storica conferenza dell’anno 2000. Sono stato duramente attaccato da un establishment che mirava esclusivamente ad aumentare la propria visibilità.  Certo, andavo in controtendenza rispetto all’atteggiamento suicidario che parlava di “end of AIDS” a portata di mano (Vella S, Wilson D. From Durban to Durban: end of AIDS further than hoped.Lancet HIV. 2016 Sep;3(9):e403-5. doi: 10.1016/S2352-3018(16)30118-7).

Ho scritto semplicemente che la strategia elaborata esclusivamente sul “treatment as prevention” per abbattere le nuove infezioni non avrebbe funzionato. Anche perché è basata su presupposti scientifici e modelli matematici completamente sbagliati. Per diverse ragioni. Soprattutto perché il modello non teneva conto degli oltre dieci milioni di persone con infezione da HIV che non sanno di averlo addosso, che gli antiretrovirali, malgrado gli straordinari successi, non avrebbe raggiunto le popolazioni più fragili e marginalizzate e le persone con infezione acuta, che hanno una straordinaria efficienza di trasmissione dell’HIV. 

TERAPIA E ADERENZA
La realtà è che la risposta globale all’AIDS è giunta a un bivio drammatico. E’ fantastico che oltre 20 milioni di persone nel mondo siano oggi in trattamento, che la mortalità, quasi azzerata nei Paesi più ricchi (grazie alla ricerca farmaceutica che ha sfornato combinazioni sempre più potenti e tollerabili di farmaci antiretrovirali), cominci ad essere abbattuta anche nei Paesi ad alta prevalenza. Tuttavia, dati drammatici mostrano che oltre il 50% delle persone che iniziano la terapia nei Paesi a risorse limitate, la interrompono entro 5 anni, quindi tornando nel novero dei milioni di “non trattati”.  Questo a causa della difficoltà di mantenere alta l’aderenza in presenza di uno sconvolgente “analfabetismo  sanitario” (la cosiddetta health illitteracy), di strutture sanitarie al limite del collasso, di un modello di cura che soltanto recentemente sta orientandosi verso modelli differenziati (cioè in mano ai pazienti stessi) che potrebbero far diminuire uno degli elementi più negativi della battaglia contro HIV/AIDS, cioè il persistere di stigma e discriminazione.
Soprattutto, il numero di nuove infezioni, quasi 2 milioni nel 2017, resta drammaticamente alto. Uno dei motivi è che un terzo delle persone con infezione da HIV non conosce il proprio status. E il dato non sembra scendere per molti motivi come lo stigma e la discriminazione, associati ad un modello di testingospedale-centrico che certo non attrae.

Insomma, siamo nel mezzo di una grave crisi dei programmi di prevenzione. Soprattutto perché non raggiungono le persone che ne hanno più bisogno.

PROFILASSI E VACCINO
Siamo in attesa (da 30 anni purtroppo) di un vaccino. Ma ora son sicuro, arriverà, grazie alla scoperta che una miscela di anticorpi monoclonali anti-Env neutralizzanti sono in grado di prevenire l’infezione nei modelli animali, e che potrebbero anche rappresentare il futuro della terapia long-acting (Yotam Bar-On, Henning Gruell, Till Schoofs, et al. Safety and antiviral activity of combination HIV-1 broadly neutralizing antibodies in viremic individuals. Nature Medicine, October 2018, https://doi.org/10.1038/s41591-018-0186-4)

Ma una delle più grandi novità biomediche degli ultimi anni è la dimostrazione che la Profilassi pre-esposizione (Prep) funziona: è riuscita ad abbattere l’incidenza di nuove infezioni a Parigi e Londra ed è ora raccomandata dall’OMS e utilizzata anche in Africa per le persone ad alto rischio di infettarsi. E’ una misura di prevenzione biomedica che andrebbe incorporata nei programmi di prevenzione di tutti i governi. Anche di quelli occidentali. Era atteso che nascessero resistenze rispetto a questa modalità preventiva, soprattutto nei confronti di comportamenti ad altissimo rischio che potrebbero beneficiare di altri strumenti. Tuttavia, ritengo che la medicina e la Sanità Pubblica devono mantenere un atteggiamento neutro rispetto a comportamenti delle persone che hanno bisogno di essere curate, e non avventurarsi in ragionamenti moralistici. La cura integrale delle persone malate o a rischio di ammalarsi è un imperativo etico e un dovere di ogni operatore sanitario e di ogni medico che rispetti il giuramento fatto all’inizio della propria missione.

RICERCA E SALUTE GLOBALE
Infine, oltre a lavorare affinchè i finanziamenti per ricerca e intervento non vengano annullati  (il Global Fund è un esempio straordinario di successo) a livello globale, occorre cambiare il nostro atteggiamento “verticale” e inserire la lotta contro l’HIV/AIDS, la Malaria e la Tubercolosi, all’interno del più ampio capitolo della Salute Globale, come descritto in un articolo che modellizza i vantaggi di una strategia di integrazione delle cure (Bekker L-G, Alleyne G, Baral S, et al. Advancing global health and strengthening the HIV response in the era of the Sustainable Development Goals: the International AIDS Society–Lancet Commission. Lancet 2018; published online July 19. DOI:https://doi.org/10.1016/S0140-6736(18)31070-5).

Purtroppo, lo spirito che a partire da Durban 2000, mosse scienziati e politici a lavorare insieme per un obiettivo comune sta progressivamente scemando, con l’agenda politica intasata da tante emergenze, dal terrorismo, ai fenomeni migratori epocali, fino alla crisi economica. In modo scellerato, visto che HIV, tubercolosi e malaria uccidono ancora 4 milioni di persone ogni anno. E che le ‘nuove” epidemie di Ebola, Zika e ultimamente, di nuovo, di Febbre Gialla, con la polio che non è ancora eradicata, ci dovrebbero ricordare che virus e batteri non hanno bisogno del passaporto per viaggiare. 

LE DISUGUAGLIANZE DELLA SALUTE
Io ho parlato molto della situazione “globale”, che erroneamente viene associata ai Paesi in via di sviluppo. Ma attenzione, il numero maggiore di nuove infezioni si verifica oggi a un passo da casa nostra, nei Paesi dell’Est europeo. Non occuparsi della salute del mondo, non è solo lontano dal principio etico e morale della centralità della persona umana, ma è anche privo di senso e lungimiranza. In un mondo così interconnesso, come non capire che occuparci della salute di tutte le persone che abitano il pianeta non sia anche proteggere la salute dei nostri figli? Pensiamo in avanti: tra 20-30 anni tutti andranno ovunque, saranno ovunque. E’ strano che molti non colgano che la salute delle persone economicamente svantaggiate, e’ anche la ‘nostra’ salute: in un mondo globalizzato e interconnesso’ combattere le malattie del mondo vuol dire affrontare la salute di tutti.

L’AIDS ha rappresentato un modello straordinario di lotta alle diseguaglianze. La battaglia non è finita, ma sicuramente alcuni aspetti potenti (come il processo di accesso universale alle cure antiretrovirali) potranno essere usati per lottare contro le altre, grandi, diseguaglianze di salute, che esistono tuttora, nel Sud ma anche nel ricco Nord del mondo, per malattie trasmissibili e per le malattie croniche non trasmissibili (Vella S, Wilson D. Access to medicines: lessons from the HIV response.Lancet HIV. 2017 Apr;4(4):e147-e149. doi: 10.1016/S2352-3018(17)30052-8).


Stefano Vella
Direttore del Centro per la Salute Globale
Istituto Superiore di Sanità