Fare sesso senza preservativo. Per contrarre l´Aids. È l´incredibile trend che sta facendo proseliti fra i gay americani.Quando finalmente il mio test dell´Aids ha dato risultati positivi ho tirato un sospiro di sollievo. Non avevo più niente di cui preoccuparmi, non dovevo fare più attenzione e mi ero tolto un peso di dosso. Dal marzo 2000 sono sieropositivo e contento… Questa sconvolgente testimonianza è stata raccolta da Louise Hogarth, regista quarantaduenne dell´Alaska che lo scorso febbraio ha ultimato un documentario intitolato ´The Gift´. È la strabiliante realtà dei siero-convertiti. Sono uomini gay che vanno coscientemente alla ricerca del virus e usano Internet per incontrare partner con l´Aids disposti a passare il contagio: the gift, cioè il regalo della sieropositività.
Kenboy, che ha compiuto da poco 28 anni, ha accettato di farsi intervistare per il documentario della Hogarth, senza nascondere la sua identità, senza fare mistero della logica dietro alle sue inquietanti scelte e senza misurare le parole quando racconta come, dove e perché. “Decisi che era venuto il momento di diventare positivo. Organizzai dunque una ´conversion party´, un´orgia alla quale parteciparono un centinaio di ragazzi. La filosofia della festa era ´don´t ask don´t tell´(non chiedere non dire), non si parla di sieropositività e non si rivela la propria condizione. E soprattutto stare alla larga dai preservativi, col 99 per cento dei presenti che faceva sesso bareback, cioè allo stato naturale”.
La Hogarth ha passato tre anni a fare ricerca e raccogliere materiale per questo documentario che per il momento non è ancora in distribuzione commerciale. Sta comunque ottenendo grande interesse in giro per il mondo, dopo essere stato presentato in più di 50 festival del cinema, compreso l´Internationale Filmfestspiele di Berlino, il Lesbian & Gay Film Festival di Londra, e il Festival del cinema di Sydney. Sono 62 minuti di angoscianti testimonianze su questa sottocultura che, come dice Louise, “ha raggiunto i livelli di un´epidemia”.
“Il ritmo delle nuove infezioni è galoppante ed è molto difficile capire come abbiamo fatto per trovarci al punto in cui ci troviamo oggi”, dice la Hogarth nel suo ufficio di Los Angeles: “La ragione principale è l´ignoranza. Molti gay non capiscono le conseguenze della sieropositività. E poi c´è il problema del linguaggio. Le parole che usiamo contribuiscono a diffondere l´immagine sbagliata. Uno che ha l´Aids è ´positivo´, un termine che respingo. Preferisco dire che è ´contagiato´. E ancora, di uno che si riempie di farmaci per cercare di prolungare la sua esistenza, nel linguaggio corrente si dice che prende un ´cocktail´. Come se si stesse parlando di un drink esotico, e non di un numero inquietante di medicinali somministrati quotidianamente”.
A puntare il dito contro il falso messaggio delle case farmaceutiche che, con l´aiuto della pubblicità (ma anche dei mass media) dipingono di glamour l´orrore dell´Aids, è l´attore Harvey Feinstein. In un violento articolo apparso sul ´New York Times´, la star di Broadway, attualmente protagonista del musical di successo ´Hairspray´, accusa l´industria farmaceutica di mentire. “L´Aids è una malattia debilitante, deformante e mortale”, scrive, sottolineando come la maggior parte delle pubblicità di farmaci per sieropositivi mostra ragazzi sorridenti e muscolosi che si godono la vita: “A differenza delle immagini sui giornali, i miei amici che prendono il cocktail di medicinali passano le mattinate piegati in due in bagno a vomitare o con attacchi di diarrea. Passano i pomeriggi fra un appuntamento dal dottore, una visita in clinica e una puntata in farmacia. E passano sera dopo sera a mettere a punto il loro testamento e a trovare un modo per far quadrare il bilancio ora che non sono più in grado di lavorare e che dipendono da costosissime dosi quotidiane di medicine”. Feinstein, lancia un appello affinché i gay si riapproprino della loro vita e del linguaggio.
Per capire l´entroterra culturale e l´immaginario di coloro che cercano di farsi contagiare, basta sfogliare la rivista ´Rolling Stone´. Che presenta il caso di un 32enne newyorkese (si fa chiamare Carlos). Confessa Carlos: “Il momento in cui mi verrà passato il virus sarà la cosa più erotica che mi possa immaginare. Per l´uomo che mi contagerà sarà molto eccitante sapere che sono negativo e che sta per portarmi dentro a una confraternità. E a sua volta questo sarà molto eccitante anche per me”. Carlos si definisce entusiasticamente un ´bug chaser´, uno che corre dietro al germe.
In particolare corre dietro a un tal Richard, un sieropositivo che ha incontrato su Internet, nel sito: barebackcity.com. Un punto d´incontro virtuale per tutti coloro che sono alla ricerca di sesso anale senza protezione. Il sito ha 58.842 iscritti, un numero spaventosamente alto soprattutto se si pensa che in febbraio gli iscritti erano 43 mila. “Il ruolo di Internet nella cultura della sieroconversione è enorme perché ha reso più facile incontrare gente che ha gli stessi gusti e interessi”, spiega la Hogarth, “allo stesso tempo favorisce una cultura nella quale i gay sono incapaci di parlare un linguaggio corretto (capire il significato della parola ´positivo´): e nessuno si pone il problema delle conseguenze”.
A farne le spese sono spesso i giovanissimi. È il caso di Doug Hitzel che racconta la sua storia in ´The Gift´. “Ero un ragazzo di diciannove anni un po´ sperduto”, dice questo biondino del Nebraska, diventato intenzionalmente sieropositivo due anni fa: “Sentivo di non appartenere a nessuna comunità e avevo un desiderio disperato di avere un giro di amici gay. Ma ero diverso dagli altri. Non ero forzuto e muscoloso come loro e quando andavo alle feste non volevo fare la figura di quello che sta in disparte perché non vuole fare sesso senza preservativo. Eppure i ragazzi più grandi non lo usavano mai. Su Internet incontrai per la prima volta un sieropositivo alla ricerca di un partner negativo. Non volevo farlo, eppure l´idea di essere corteggiato assiduamente proprio perché ero sano mi piaceva moltissimo”. A Doug si riempiono gli occhi di lacrime. “Io non sapevo cosa volesse dire essere positivo. Nessuno me l´aveva mai detto che mi avrebbe fatto star male”.