Il ministro Sirchia è ottimista: ieri si è presentato in Parlamento per darci «dieci buone notizie sulla salute degli italiani». «Dieci buone notizie» tutte da verificare. Cresce la speranza di vita alla nascita (che tra 1999 e 2002 passa da 75,8 a 76,7 anni per gli uomini e da 82 a 82,9 anni per le donne). Si registra una maggior proporzione di anni liberi da disabilità (prima dei 75 anni, il 26,7% degli uomini e il 20,5% delle donne dichiarano di sentirsi bene o molto bene). La mortalità perinatale e infantile continua a diminuire. Le malattie cardiovascolari restano la prima causa di morte ma diminuiscono (dell’1% tra ’96 e 2002). Di tumore si muore meno e si sopravvive di più (passando dal 27% al 40% tra gli uomini e dal 45% al 56% tra le donne per tutte le neoplasie maligne a cinque anni dalla diagnosi). Dopo anni l’Italia supera la media europea, con 16,8 donatori di organi per milione di abitanti. Aumentano le donazioni di sangue (due donatori per mille in più) e calano le malattie infettive (epatite B, meno 70% in dieci anni; aids stabile). In flessione anche le malattie professionali (da 26mila 879 casi nel ’97 a 21mila 988 nel 2001). Siamo “birichini” solo sul fumo (12 milioni 330 mila fumatori, uomini stabili e donne in aumento), l’alcool (tra coloro che ne abusano i giovani tra i 15 e i 24 anni passano dall’1,8% degli anni Novanta al 3,2%) e le droghe (in flessione l’eroina, che passa dal 91,2% all’81,4% in un decennio, in aumento la cocaina, dall’1,3% al 5, 7%).
Tutto bene, o quasi, quindi? «Non c’è dubbio che il servizio sanitario nazionale ha incisivamente migliorato le condizioni di salute della popolazione, superiori alla media dei paesi industrializzati, nonostante la nostra spesa sanitaria sia sempre rimasta sotto la media», commenta Erminia Emprin, responsabile Stato sociale di Rifondazione; «ma sarà ancora così quando si cominceranno a vedere gli effetti dei tagli progressivi della spesa pubblica sanitaria e del federalismo in sanità?».
Vale la pena di andare a esaminare bene i dati della relazione sullo stato sanitario del Paese nel biennio scorso. Che, per esempio, non sono scorporati per condizione sociale né per collocazione geografica. «Recenti studi», sottolinea Emprin, «hanno dimostrato che mentre la speranza di vita media della popolazione è significativamente aumentata, l’operaio torinese vive mediamente un anno di meno che dieci anni fa». Se miglioramento c’è, insomma, non è uguale per tutti. Basta pensare al divario che separa il Mezzogiorno dal Nord Italia rispetto alla mortalità evitabile grazie alla diagnosi tempestiva delle malattie oncologiche e dei tumori femminili. Altro enorme punto di domanda, il calo delle malattie professionali: «i numeri dipendono dagli strumenti di valutazione che ci si danno. Molte malattie professionali, soprattutto femminili, non compaiono nelle statistiche; e nell’attuale precarizzazione, molti lavoratori restano fantasmi», denuncia ancora l’esponente del Prc. Come fuori dalla relazione restano la condizione sanitaria scandalosa del carcere, i non diritti dei migranti, l’affossamento delle politiche di riduzione del danno, le cure (non) prestate ai non autosufficienti, il peso dell’assistenza nelle vite soprattutto delle donne. Insomma, conclude Emprin, «non basta citare le medie statistiche astratte, bisogna promuovere la salute di tutte e tutti e rimuovere le disuguaglianze».