Che ne sarà del servizio sanitario nazionale una volta approvata la riforma di Bossi? La prospettiva è che ogni regione si organizzi come meglio può in base alle proprie risorse economiche. Mettendo fine a una sanità uguale per tutti.Universalismo, equità e gratuità d’accesso. Sono i principi cardine su cui è fondato il Sistema sanitario nazionale (Ssn) per garantire a tutti i cittadini le stesse opportunità di cura e assistenza. Ma sono anche i principi che oggi devolution e federalismo fiscale mettono in crisi. L’universalismo su cui si basa il Ssn, non è infatti garantito dalla Costituzione – che tutela solo il generale diritto alla salute e, dopo la modifica del Titolo V voluta dall’Ulivo nel 2001, dà allo Stato la competenza per definire i Livelli essenziali di assistenza (Lea) e i principi guida da garantire in tutto il Paese (art. 117) – ma dalla legge che l’ha istituito nel `78. Quindi se passasse la devolution, che modifica ancora l’art. 117 affidando alle regioni la competenza legislativa esclusiva per quanto riguarda assistenza e organizzazione sanitaria, la legge che governa il Ssn sarebbe priva di valore perché di pari grado rispetto a quella che ogni regione potrebbe produrre per modificarla. Con la devolution viaggia anche il federalismo fiscale(secondo le disposizioni del decreto legislativo 56/2000 che ha modificato l’art.119 della Costituzione), che dà alle regioni autonomia finanziaria di entrata e di spesa, sostituendo i trasferimenti statali diretti con la partecipazione agli introiti delle principali imposte (irpef, iva, irap) ai quali vanno aggiunti quelli derivanti dalla tassazione autonoma di ciascuna regione. La riforma dell’art. 119 istituisce anche un fondo di solidarietà perequativa attivo fino al 2013, a favore delle regioni svantaggiate, ma se passa la devolution questo solidarismo fiscale poterebbe finire ben prima. Oltretutto, visto che le finanziarie 2003/4 hanno imposto il blocco delle addizionali regionali e comunali sospendendo l’applicazione dell’articolo 119, rinviata all’Alta commissione per il federalismo fiscale del Tesoro con mandato fino al 30 settembre 2004, il futuro dall’autonomia fiscale resta un’incognita, impedendo alle Regioni di risalire dalla loro base imponibile alla stima delle possibili entrate.
Mettendo insieme questi due problemi – competenza legislativa esclusiva e autonomia finanziaria – si capisce come sia concreto il rischio che da un unico Ssn si passi a 21 diversi servizi sanitari regionali. Su questa strada, peraltro, siamo già a buon punto con la normativa vigente, ma procedendo per la via della devolution bossiana gli squilibri territoriali non potranno che aumentare. Con le conseguenze che tutti possono immaginare. Ciò che oggi è un diritto domani potrebbe essere soggetto a reinterpretazione da parte delle regioni, costrette a spezzare l’unitarietà del sistema. Ogni regione, infatti, potrebbe decidere di fare ciò che vuole del suo Ssr, dando vita ad altrettante scelte di politica sanitaria. Potrebbe, ad esempio, garantire la gratuità delle prestazioni solo ai cittadini con basso reddito, e pretendere da tutti gli altri la stipula di un’assicurazione privata. Analisi, radiografie e visite mediche non sarebbero più un diritto generalizzato, ma verrebbero sottomesse alla logica del «se vuoi essere curato paga». Strette dalle esigenze di cassa, le Regioni potrebbero insomma scegliere di investire i propri soldi solo in alcuni settori della sanità.
Ma la devolution porta con sé anche altri aspetti preoccupanti. A finire nel mirino non ci sarebbero solo i pazienti, ma anche i lavoratori della sanità. Devolution significa infatti la possibilità per gli amministratori regionali di modificare la mobilità interregionale e di uscire dal contratto nazionale regolando i rapporti con i dipendenti del settore attraverso vertenze regionali. Insomma, per dirla con Massimo Cozza, segretario nazionale della Fp Cgil medici, «il principio del tutto per tutti è sepolto». Al suo posto arriva uno spezzatino contro cui si battono da oltre 12 mesi medici e sindacati, tornati in piazza dopo 15 anni.
I rischi insiti in una simile situazione sono ancora più gravi considerando che la devolution arriva su un Ssn già in sofferenza per la sottostima del fabbisogno sanitario. Regioni e province autonome, infatti, quantificano il sottofinanziamento in 4.3 miliardi di euro per il 2002, 4.7 per il 2003 e 6 per il 2004, di cui un miliardo necessario per fornire l’assistenza sanitaria ai 750mila immigrati regolarizzati con la legge Bossi-Fini e cinque per adeguare i Lea agli standard fissati del ministero della Salute. Alla mancanza di soldi si aggiunge poi il problema delle trattenute; il ministero del Tesoro, infatti, non eroga alle regioni il finanziamento completo, ma trattiene una quota (il 5% del Fsn per il 2004 e circa il 10% per gli anni pregressi) che distribuisce solo a seguito dei risultati raggiunti dal Tavolo di monitoraggio della spesa. In pratica, a esercizio finanziario concluso, Tremonti verifica se gli interventi delle regioni a copertura dei disavanzi sono congrui oppure no. Se la verifica è positiva procede all’assegnazione dell’integrazione, altrimenti… I fondi aggiuntivi, dunque, non sono garantiti e quando vengono concessi arrivano con 2 anni di ritardo. Per il 2001 cinque regioni (Abruzzo, Calabria, Campania, Sardegna e Molise) non hanno avuto l’integrazione, mentre per il 2002 in sei (Abruzzo, Campania, Lazio, Molise, Sardegna e Sicilia) non hanno ancora ottenuto il via libera. Sicché i crediti che le regioni vantano sono di 7.800 milioni di euro per il 2002 e di 7.000 per i primi dieci mesi del 2003.
Per sopperire ai sottofinanziamenti e ai ritardi nell’erogazione dei fondi le regioni hanno poche alternative. Possono scegliere tra inasprimento fiscale e finanza creativa, riduzione del livello di erogazione dei servizi o creazione di disavanzo. Senza federalismo e devolution già oggi è evidente la spaccatura verticale del Paese. Oltre alla razionalizzazione delle spese, infatti, le regioni meridionali hanno prevalentemente fatto ricorso alla compartecipazione della spesa (ticket) e al taglio di prestazioni ritenute non essenziali, mentre quelle del centro nord hanno puntato all’inasprimento fiscale. Le regioni del centro sud più “creative” invece hanno alienato il patrimonio immobiliare cartolarizzando Asl e ospedali. Ci sono addirittura regioni, come la Sardegna, che stanno pensando a cartolarizzare i crediti con il Tesoro. Mentre quelle che hanno scelto di non tagliare i Lea, ma non riescono a pareggiare i conti, stanno creando un disavanzo tale che sarà problematico ripianarlo.
Ma davvero è tutta colpa della devolution? «La verità è che si sta preparando la strada alla controriforma della sanità ed è questa, prima ancora della devolution, la cosa preoccupante», dice Giovanni Bissoni, assessore alla sanità dell’Emilia Romagna e coordinatore degli assessori del centrosinistra. «In altre parole – prosegue Bissoni – il governo non dichiara di voler mettere in discussione l’universalismo e la gratuità della nostra salute per aprire la sanità al mercato, ma sta creando una situazione di impoverimento e ingovernabilità tale del Servizio sanitario, da spingere chi può permetterselo a ricorrere al privato arrivando di fatto a un superamento della sanità come la conosciamo oggi, sanando poi il tutto con la devolution».
Eppure gli Usa, la cui spesa sanitaria è circa il 14% del Pil (di cui il 44.4% di fonte pubblica e il 55.6% privata), ossia quasi il doppio della nostra, mostrano in modo lampante che una sanità governata dalle assicurazioni è più costosa e meno efficace.