Nell”ultima esternazione il ministro Sirchia ha affermata che il criterio economicista di taglio della spesa “sta uccidendo il servizio sanitario”. Il movimento antiglobalizzazione, negli appuntamenti che da Firenze segnano le tappe del percorso verso il Social Forum Europeo di Saint Denis, esprime lo stesso giudizio.Il paradosso è solo apparente, perché finalità e strategie di intervento sono agli antipodi. La strategia del ministro Sirchia è la stessa di Blair, che su questa linea ha provocato nei giorni scorsi una delle più grandi ribellioni parlamentari e una forte opposizione sociale. Il ministro Sirchia rilancia la managerialità, cioè l’estensione dell’ aziendalizzazione e privatizzazione della sanità inaugurata dai governi Amato, da De Lorenzo a Veronesi, che il governo delle destre intende portare alle estreme conseguenze. L’ultima legge finanziaria è un vero e proprio colpo di maglio sul servizio sanitario nazionale. Da un lato, prevede la decadenza automatica dei direttori generali che non assicurano l’equilibrio economico delle aziende sanitarie e ospedaliere. D’altro lato, dà forza di legge al decreto sui livelli essenziali di assistenza sanitaria, contestato dall’associazionismo di tutela dei diritti e da molti comuni perché cancella dal nostro ordinamento giuridico la gratuità di molte prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione per le persone che ne hanno più bisogno: quelle non autosufficienti, con malattie croniche o disabili, con malattie psichiatriche, affette da Aids. La ricetta è il delisting, una delle invenzioni dellla Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale per aprire al mercato la sanità: la sanità pubblica copre per intero solo il costo della fase intensiva delle malattie, di quelle che hanno durata breve o di alcune malattie croniche che hanno una certa rilevanza clinica, mentre una gran parte del costo delle cure a lungo termine dovrà essere sostenuto dalle famiglie o dai comuni (per i poveri). Nello stesso tempo, gli Istituti Scientifici di Ricerca e Cura vengono trasformati in Fondazioni, che drenano fondi e professionalità pubbliche a danno degli ospedali e al di fuori di ogni forma di controllo partecipato dal basso, diventando vere e proprie “isole”, staccate dalle economie locali e dai bisogni di salute del territorio e specializzate in interventi di eccellenza su grandi patologie: i più remunerativi nel sistema di finanziamento pubblico. Il Forum europeo per la salute rilancia invece la lotta per i sistemi sanitari pubblici a offerta universale (per tutta la popolazione, con o senza reddito, con o sans papier), gratuiti (senza richieste di partecipazione individuale alla spesa) e generalisti (che coprono tutte le prestazioni, dalla prevenzione negli ambienti di vita e di lavoro, alla cura, alla riabilitazione, senza limiti di tempo o di condizioni particolari). La partita in gioco è quindi quella dell’universalismo dei diritti, sulla sanità come sul lavoro, in Italia come in Europa. Con una differenza. In altri Paesi europei, come la Francia e Inghilterra, il tentativo di transizione da un sistema sanitario universalistico a un sistema che interviene solo sulle condizioni più estreme e di povertà per elargire somme ingenti a istituzioni private, provoca una forte opposizione sociale con cui le sinistre si tanno confrontando. Anche in Italia qualcosa comincia a muoversi, dal Forum per la difesa della salute alla manifestazione del 15 aprile scorso, in cui le organizzazioni sindacali di medici, operatori della sanità hanno denunciato che il sottofinanziamento mina l’efficienza del sistema e il disegno di legge sulla devoluzione ne provoca la disintegrazione. Stenta però a ricomporsi nel quadro politico partitico uno schieramento che si opponga con determinazione e senza ambiguità al taglio dei costi per le cure a lungo termine. Il sistema sanitario che garantisce le cure a tutte e tutti, per cui si batte il movimento, si fonda su due presupposti. Il finanziamento pubblico attraverso il prelievo progressivo sui redditi e indipendente dal bisogno di cure e il controllo pubblico e partecipato della spesa. Questo è anche il sistema più efficace ed economico per garantire, nello stesso tempo, la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e le cure gratuite a chi è privo di reddito, come stabilisce la nostra Costituzione. Connessa con la battaglia per l’estensione dei diritti bisogna si pone cioè la questione della fiscalità generale e della ridistribuzione delle risorse. Per questo guardiamo con preoccupazione alle proposte del centro sinistra per la cura delle persone non autosufficienti, aperte a soluzioni che rompono con l’universalismo e l’unitarietà del servizio sanitario nazionale, come gli assegni di cura e i bonus per le famiglie povere, rinunciando a intervenire sulle cause e rimettendo in discussione anche le conquiste, sia pur parziali, dei movimenti delle donne per una maggiore equità dei rapporti sociali di genere. Il centro sinistra deve oggi misurarsi senza ambiguità sull’alternativa tra l’estensione o la riduzione dei diritti, contribuendo alla costruzione di una manifestazione nazionale per la difesa della sanità pubblicasenza se e senza ma.