Tra pochi giorni, entro maggio, verranno pagati i risarcimenti per danno biologico agli emofilici che hanno contratto Hiv e Hcv (epatite C) dagli emoderivati, ossia i farmaci che dovrebbero servire a salvare le loro vite.E’ di 718 persone l’elenco dei malati per i quali il ministero della Salute ha autorizzato la transazione e quindi il pagamento dei risarcimenti, che vanno da un minimo di 388.165 euro a un massimo di 619.748. Fanno parte del gruppo degli oltre 800 emofilici e politrasfusi in causa contro il ministero (sono due i principali procedimenti giudiziari: uno iniziato nell’88 a Roma, l’altro nel 2001 a Trento e ora trasferito a Napoli). Dopo oltre dieci anni di procedimenti, viene da pensare che finalmente arriva la giusta conclusione delle cause. A ben guardare, però, non si può parlare di vittoria. Tra i 718 c’è un ragazzo emofilico che ha scoperto si essere hiv e hcv positivo a soli 13 anni. Cinque anni dopo ha iniziato a prendere dieci diverse medicine al giorno per vivere. «Mi sono costituito parte civile al processo di Trento – racconta- ora ho diritto al risarcimento. Avrei preferito non prendere nessun soldo e vivere una vita normale. La malattia ci cambia la vita. Non possiamo neanche avere un figlio senza mettere in pericolo lui e i nostri compagni». Come fa notare Angelo Magrini, presidente dell’associazione politrasfusi italiani, tra quanti riceveranno il risarcimento e quanti ne sono esclusi, sono assai più numerosi i secondi. Per rendersene conto basta guardare la differenza che c’è tra indennizzati, cioè titolari di un assegno bimestrale di circa 800 euro, e risarciti. Le richieste presentate al ministero della salute sono ben 45mila, di cui 23mila accolte e 22mila rifiutate o in attesa di essere esaminate. Limitandosi a considerare le sole domande accolte, lo stato ha riconosciuto che sono state danneggiate da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni, somministrazioni di emoderivati, o infezioni contratte per cause da imputare ai rischi professionali, 23mila persone. Anche se l’indennizzo è una forma di solidarietà sociale, mentre il risarcimento presuppone l’accertamento della responsabilità civile di chi ha causato il contagio, questa differenza non basta a spiegare l’abisso tra i due gruppi. Tanto più visto che nel 98 il tribunale civile di Roma ha riconosciuto la responsabilità del ministero della sanità – colpevole di aver reso obbligatorio il test dell’hiv sugli emoderivati importati e sul sangue proveniente da donatori italiani solo nell’86 e nell’88, nonostante il test fosse disponibile sin dall’85, e di aver atteso fino al `91 per imporre il ritiro dei farmaci non trattati al calore virucidico. La legge 141 del 2003 ha accordato il diritto ad essere risarciti a tutti cittadini con cause pendenti contro lo stato. Il regolamento attuativo adottato dal ministero della Salute, però, taglia con l’accetta il campo degli aventi diritto, che passano dai politrasfusi, vaccinati e dializzati, ai soli emofilici. «Quando sarà possibile vorrei chiedere il risarcimento – dice un’infermiera contagiata da hiv e hcv per un incidente sul lavoro – invece di fare qualcosa prima, lo stato si ricorda di noi solo quando non ci siamo più».
Ma i conti tra contagiati e aventi diritto al risarcimento non tornano neanche considerando i soli emofilici. I malati di emofilia infettati da hiv e/o hcv, infatti, sono 3.247, di cui ben 864 malati di aids. E visto che dagli anni 80 ad oggi sono passati vent’anni, purtroppo si contano anche le vittime. Al 30 giugno 2003 sono 1.408 le persone decedute per aids o epatite contratta da sangue infetto. E dietro ogni numero c’è una persona, con tutto il suo mondo. Come il papà di Piergiorgio, morto da due anni per un tumore al fegato. Aveva avuto un brutto incidente nel `71, così era stato sottoposto a una trasfusione. Infetta. La diagnosi di epatite C è arrivata per caso nel’91. Poi ha fatto domanda di indennizzo, i suoi familiari aspettano ancora la risposta del ministero.