L’emanazione repentina del decreto di riforma del cnr – per quello che se ne sa – esprime al contempo un’applicazione estremamente spinta dello spoil sistem e in prospettiva una estrema politicizzazione della gestione della ricerca.L’emanazione repentina del decreto di riforma del cnr – per quello che se ne sa – esprime al contempo un’applicazione estremamente spinta dello spoil sistem e in prospettiva una estrema politicizzazione della gestione della ricerca. Non si tratta solo di definizione di orientamenti di politica della ricerca – pi o meno corretti, pi o meno condivisibili – ma della nomina di persone di fiducia governativa (di fiducia degli eletti dal popolo) nel governo e nel controllo quotidiano della attivitˆ di ricerca. Non si era mai visto. E’ come se i rettori o i presidi delle universitˆ fossero di nomina politica. Il Cnr negli ultimi anni era stato investito da una complessa operazione di riforma, volta soprattutto a realizzare un pi alto grado di efficienza delle sue strutture. Quest’opeazione avvenuta in un contesto difficile: le riforme si fanno meglio quando c’ espansione della spesa che non quando -come ora – l’obiettivo quello del risparmio. Ma le cose stavano comunque procedendo. Si era passati a una riaggregazione degli istituti ed erano state eliminate alcune funzioni tradizionali dell’Ente (in pratica quella, per molti versi problematica, di distribuzione di fondi per la ricerca universitaria). C’erano (sembra che da oggi non ci siano pi) un comitato di consulenza scientifica e un consiglio direttivo in parte di nomina (diciamolo pure) politica, in parte di eletti dagli studiosi. Tutto questo da oggi cancellato. Il commissariamento va ben oltre un normale abuso dello spoil sistem. Evitando che scadesse il mandato dell’attuale presidente e commissariando l’Ente, il governo toglie di mezzo anche i due organismi direttivi. Se il prof. Tizio e il prof. Caio, membri di nomina politica, vanno a casa, esattamente la stessa cosa capita al prof. Sempronio, anche se quest’ultimo un rappresentante eletto dalla comunitˆ scientifica e ha un mandato lontano dalla scadenza. Il nuovo commissario sarˆ buono o cattivo, non questo il problema. Il fatto che avrˆ ruolo e poteri diversi e pi forti di quelli di un normale presidente in carica. E le cose non miglioreranno quando si andrˆ a regime. Infatti la politicizzazione – o pi precisamente l’allineamento forzato alle linee governative – l’obiettivo che sembra informare le linee del progetto. Vengono istituiti dei dipartimenti alla cui testa saranno nominati (non eletti) studiosi che si sovrapporranno agli attuali istituti e relativi direttori. Ce ne saranno di buoni e di cattivi, ma il criterio di scelta rifletterˆ pesantemnte le linee politiche e ideologiche degli eletti dal popolo. Non il caso di fare delle analogie con altri settori della realtˆ istituzionale del paese, ma sembra proprio che l’aver vinto un concorso non serve a molto. La tutela politica diventa d’obbligo. Alcuni tracciano delle analogie tra i nuovi dipartimenti e i vecchi comitati di consulenza scientifica e denunciano un ritorno al passato. Vedono in questo un aspetto della contro-riforma. Non so se hanno ragione o torto. Certo per˜ che i vecchi comitati erano elettivi, forse un po’ clientelari ma certamente pi democratici. E’ da oltre un anno che le scelte di politica economica hanno reso la vita difficile al Cnr. Gli istituti, che sono il luogo dove si conduce la ricerca, hanno avuto dei tagli di bilancio incredibili. Le attuali attribuzioni finanziarie servono a far vivere gli istituti – come si dice in gergo Ça uomo fermoÈ. In altri termini, non ci sono fondi per la ricerca. Non sono stati eliminati gli stipendi dei ricercatori, non sono stati spenti i termosifoni, ma non ci sono pi i soldi per le spese vive di ricerca. L’uomo (la donna) ricercatore deve star fermo. Per quest’anno si va avanti con qualche residuo dell’anno passato. Ma sul futuro nebbia fitta. O ci sarˆ una elargizione a seguito del commissariamento allo scopo di tacitare gli animi? Non so, non credo. In ogni caso il problema un altro e di taglio pi generale. In Italia la spesa pubblica per la ricerca scientifica comunque estremamente modesta: ha una incidenza sul pil molto pi bassa che negli altri paesi europei sviluppati. Si tratta di prendere atto innazitutto di questa questione. L’invito implicito quello di Çmettersi sul mercatoÈ, di rivolgersi ai privati, ma questi in Italia sono molto avari e non probabile che intendano finanziare la ricerca di base. Insomma una riforma inopportuna e anche un po’ improbabile: stato sbandierato il fatto che ben il 10 per cento dei posti saranno assegnati ai Çcervelli in fugaÈ (studiosi italiani all’estero) per chiamata diretta. Anche qui ce ne sono di buoni e di brutti. Una cosa lo studioso di Harvard, una cosa chi insegna in modesto college di provincia. Con quel che passa il governo, sarˆ difficile che quelli di Harvard tornino a casa.