Le industrie farmaceutiche rischiano di dover far fronte a una consistente mole di richieste di rimborsi da parte delle Asl e degli ospedali di tutta Italia. Una recente sentenza della Cassazione ha stabilito che la normativa sugli sconti che le aziende devono praticare quando vendono medicinali alle strutture del Servizio sanitario nazionale è stata applicata in modo errato fino al 1996 e che Asl e ospedali hanno pieno diritto di chiedere i rimborsi per i prezzi troppo alti pagati fino a quell’anno.
Le norme di riferimento. La legge 386/74 stabilì che le aziende farmaceutiche che vendono medicinali ad Asl e ospedali devono praticare uno sconto del 50% rispetto al normale prezzo di vendita al pubblico. Anche sulla base dell’erronea interpretazione di una circolare del ministero delle Finanze del 1987, le industrie si sono regolate prendendo come base il prezzo al pubblico comprensivo dell’Iva: su tale cifra è stata calcolata la riduzione del 50%, salvo poi applicare nuovamente l’Iva al prezzo scontato.
Così facendo la riduzione a favore delle strutture del Ssn veniva a essere inferiore a quella stabilita per legge e le Asl si trovavano a pagare due volte l’Iva sulla stessa transazione. Per sanare la situazione, con la Finanziaria per il 1996 si chiarì che lo sconto andava applicato sul prezzo di vendita al pubblico al netto dell’Iva. Ma la legge precisava anche che «non si fa luogo a rimborsi d’imposta per l’erronea applicazione dello sconto farmaceutico prima dell’entrata in vigore» della nuova legge.
In base a questa disposizione tutte le Asl rinunciarono ai procedimenti giudiziari avviati per recuperare le cifre in più indebitamente pagate alle industrie farmaceutiche. Tutte, tranne la Asl di Jesi che – dopo aver vinto il processo in primo grado e perso quello di appello – decise di andare avanti in Cassazione.
La decisione della Corte. Investiti della questione i giudici della III sezione civile (sentenza 15639/02, le cui motivazioni sono state rese note solo ieri) hanno accolto in pieno le tesi dell’avvocato della Asl di Jesi, Fabrizio Illuminati, secondo il quale «la norma della Finanziaria 1996 che vieta i rimborsi per l’erronea applicazione degli sconti si riferisce solo ai rapporti tra Stato e case farmaceutiche, nel senso che preclude alle industrie la possibilità di rivalersi nei confronti dell’Erario per l’Iva pagata in più nei casi in cui avessero dovuto rimborsare le Asl».
La messa al bando dei rimborsi – secondo la tesi accolta dalla Cassazione – non riguarda, dunque, la possibilità che le Asl possano rivalersi nei confronti delle aziende per i prezzi troppo alti pagati prima dell’entrata in vigore della Finanziaria per il 1996.