Ha compiuto due anni, ma nessuno se ne è accorto. La legge nata per facilitare la prescrizione degli oppioidi, la n. 12 dell’8 febbraio 2001, necessaria per curare il dolore nei pazienti colpiti da gravi malattie è rimasta praticamente lettera morta.Ha compiuto due anni, ma nessuno se ne è accorto. La legge nata per facilitare la prescrizione degli oppioidi, la n. 12 dell’8 febbraio 2001, necessaria per curare il dolore nei pazienti colpiti da gravi malattie è rimasta praticamente lettera morta.A parte gli sforzi di pochi volenterosi, i camici bianchi italiani continuano a lasciare dentro i cassetti i nuovi ricettari per gli oppioidi – più semplici e veloci da compilare – o, peggio, non li vanno neppure a ritirare presso le aziende sanitarie. Ma la colpa non è soltanto dei medici. Ci sono Regioni (Lazio, Sardegna e Veneto) in cui i ricettari addirittura mancano del tutto. Mentre in altre le Asl e gli ospedali fanno ben poco per distribuirli. E anche il ministero della Salute, da cui si attende da tempo un’ampia campagna di informazione, sembra latitare.Il risultato è che le vendite di confezioni di oppioidi per lenire il dolore sono rimaste pressoché identiche: 2 milioni e 850mila venduti tra il 2000 e il 2001 contro i 3 milioni del 2002. Un lieve aumento, questo, che non deve però ingannare: «I consumi italiani – avverte Claudio Blengini, l’esperto di cure palliative della Società italiana di medicina generale – sono tra i più bassi in Europa e nel mondo e anche questo incremento rivela come la prescrizione sia e rimanga molto bassa».Insomma, la svolta che tanti pazienti attendevano con l’applicazione della legge non c’è stata: «Abbiamo lavorato tanto per costruire una potente Ferrari – denuncia Oscar Corli, responsabile dell’Unità operativa di cure palliative all’ospedale Buzzi di Milano – ma non siamo in grado o non vogliamo farle superare i 30 chilometri orari».L’unico piccolo exploit che si è registrato è quello del cerotto di fentanil, le cui vendite sono aumentate del 70 per cento. Successo smorzato, però, dalla leggera diminuzione delle prescrizioni di morfina da assumere per bocca. Sostanza, quest’ultima, considerata dall’Oms (l’Organizzazione mondiale della Sanità) il farmaco di prima scelta nella cura del dolore severo.Ma a parlare chiaro sulla disattenzione rispetto alle possibilità offerte dalla legge, sono i dati: tra il settembre 2001 (a sei mesi dall’entrata in vigore) e lo stesso mese del 2002 la vendita di confezioni di oppioidi “forti” elencati nella legge dicembre 2001 è cresciuta soltanto di 133.555 unità. Appena 11mila pezzi in più al mese. Un incremento minimo, soprattutto considerando che questi farmaci rappresentano appena un quarto del totale degli altri oppioidi venduti, quelli cosiddetti «deboli» che non richiedono ricettari speciali.La dimensioni del problema sono ancora più evidenti se si raffronta il mercato di tutti gli oppioidi con quello globale dei farmaci: il primo rappresentava nel 2001 una quota inferiore allo 0,3% dell’oltre 1 miliardo di farmaci venduti all’anno. Rispetto a questa percentuale, gli oppioidi “forti” rappresentano soltanto il 21,7%, pari allo 0,06% del mercato globale. Insomma, una buona legge «facilmente interpretabile – spiega ancora Corli – e priva di rischi per medici e operatori» non basta. Quello che è mancato – denunciano tutti gli esperti di un settore considerato a lungo una Cenerentola della medicina – è la formazione degli operatori e l’informazione ai cittadini.A marzo i riflettori si riaccenderanno sulle cure del dolore: dal 5 all’8 Milano ospiterà il congresso organizzato dalla Società e dalla Federazione di cure palliative, mentre il 22 a Dogliani, in provincia di Cuneo, ci sarà una giornata dedicata al «dolore inutile».