Ginecologi, genetisti, filosofi e bioeticisti, giuristi e rappresentanti del mondo cattolico sono chiamati a interpretare e chiarire i dubbi sollevati dall’introduzione della nuova normativa sulla procreazione assistita.Una nomina che non ha mancato di sollevare polemiche: alcune società scientifiche, come la Società Italiana di Andrologia Medica e la Società Italiana di Embriologia Riproduzione e Ricerca hanno già lamentato l’esclusione di un loro rappresentante e hanno chiesto al ministro di ampliare la commissione. Tra i 23 membri presenti, solo sei sono i medici specialisti nelle tecniche di procreazione medicalmente assistita (Pma). Tra gli altri componenti spiccano i nomi di padre Roberto Colombo, professore associato di Biochimica preso l’Università Cattolica di Milano, e alcuni giuristi, come Francesco Busnelli dell’Università di Pisa e Luciano Eusebi dell’Università Cattolica di Milano. “Non ci sono chiari i criteri alla base della scelta degli esperti già nominati per la Commissione di lavoro sulle linee guida dal ministro della Salute”, ha dichiarato Nino Guglielmino ginecologo dell’Unità di Medicina della Riproduzione di Catania, direttore di uno dei cinque centri italiani che dal 10 marzo devono dire no alle coppie talassemiche in lista di attesa per la diagnosi di preimpianto. “Mancano gli esperti in diagnosi genetica di pre-impianto e operatori attivi che si confrontano ogni giorno con queste pratiche”, gli fa eco Giuseppe D’Amato, responsabile per la medicina della riproduzione all’Istituto De Bellis di Castellana Grotte e coordinatore del comitato scientifico del Cartello di associazioni che si oppongono alla legge sulle Pma.
La commissione avrà un ruolo consultivo: dovrà cioè fornire il suo parere su una serie di temi caldi, parere che sarà poi sottoposto al Consiglio Superiore di Sanità, prima che il ministro della Salute traduca il documento in un decreto, da emanare entro la metà del mese di giugno. Al primo posto fra le questioni da affrontare quella del comportamento del medico rispetto al congelamento degli embrioni. Questa possibilità è negata dalla legge, se non in casi eccezionali, ed è prevedibile che non sarà ammesso in alcun modo neanche il congelamento degli zigoti, “che invece è consentito in Germania e Svizzera”, ricorda Flamigni, reduce dalla prima riunione del gruppo di lavoro. Altro punto spinoso: la custodia degli embrioni congelati prima dell’entrata in vigore della legge e non più utilizzati dalle coppie.
Ma il cuore del confronto e le abilità maggiori dovranno essere spese nella gestione del consenso informato. I medici, infatti, dovranno ottenere il consenso alla fecondazione in vitro dopo aver informato la coppia di non poter scegliere il protocollo ottimale. La legge, infatti, attraverso sanzioni amministrative e penali, obbliga i medici a trasferire tutti gli embrioni prodotti, anche nel caso in cui la diagnosi genetica ne metta in evidenza le eventuali malattie. I medici sono anche obbligati a fecondare non più di tre ovociti, anche se ciò potrebbe rischiare di non produrre neanche un embrione, o al contrario di produrne troppi. Tra le questioni pratiche con cui i centri di procreazione assistita stanno già facendo i conti c’è poi l’obbligo di trasmettere entro trenta giorni a partire dal momento dell’entrata in vigore della legge al Ministero della Salute gli elenchi delle coppie e il numero degli embrioni prodotti e di quelli congelati negli anni. A meno di non voler incorrere in una sanzione per inadempienza. Ed è proprio questo l’oggetto dell’istanza che sarà rivolta a Stefano Rodotà, presidente dell’Autorità garante della privacy, dal gruppo di avvocati del Cartello delle associazioni contro la legge.