“Non esiste una cosa chiamata marijuana terapeutica”. Ne e’ da sempre convinta la Drug Enforcemente Administration statunitense (DEA), del tutto erroneamente come vanno dimostrando ricerche e pazienti in ogni parte del globo. Eppure l’agenzia repressiva non si e’ fatta scrupolo di usare simile posizione a caposaldo in un recente processo-farsa in quel di San Francisco, California. Sul banco degli accusati il 58enne Ed Rosenthal, esperto e studioso della cannabis, noto autore di volumi sugli aspetti tecnici, giuridici e medici della stessa nonche’ coltivatore diretto di piante destinate esclusivamente ai pazienti locali e con tanto di approvazione del limitrofo comune di Oakland. Nonostante tutto cio’, il procuratore federale ha dipinto il Ed Rosenthal come un incallito spacciatore per via delle oltre 100 piante trovate nel giardino della sua abitazione lo scorso anno. Ovvero: trattandosi di un processo federale, il giudice Breyer ha piu’ volte e duramente impedito agli avvocati difensori di accennare o nominare alcunche’ sugli aspetti medici della situazione. Meno che mai ha consentito di ricordare alla giuria popolare, ad esempio, che fin dal 1996 gli elettori californiana hanno approvato la Proposition 215, che consente a persone affette da malattie gravi il possesso e l’utilizzo di cannabis a fini terapeutici. E che da allora sono state avviate in zona svariate iniziative per garantire la fornitura della materia prima, spesso con il placet e finanche il supporto delle autorita’ locali. Scenario in cui operava tra gli altri anche Ed Rosenthal, il quale coltivava la marijuana alla luce del sole, dietro la sua classica villetta unifamiliare sulle colline di Oakland. Così come allo scoperto e pubblicamente ha sempre condotto la propria attivita’ di decriminalizzazione di questa pianta. Inchiodata dall’atteggiamento a dir poco intimidatorio del giudice, la giuria popolare non ha potuto far altro che condannare Rosenthal. Salvo pentirsene immediatamente dopo. “Non voglio che eventi simili possano accadere un’altra volta,” ha dichiarato Charles Sackett, nel leggere una lettera di scuse a Rosenthal sulla scalinata della stessa corte federale. “Abbiamo mostrato piena integrita’ nell’aderire alla lettera delle leggi federali. Tuttavia devo ammettere che la corte ha operato in maniera ingiusta.” Analoga la posizione di almeno altri cinque giurati, tra cui Marney Craig, la quale ha poi spiegato di aver “scoperto la verita’ cinque minuti dopo la sentenza, quando un’attivista locale mi si e’ avvicinata per spiegarmi rapidamente come stavano le cose.” Secondo Craig, qualora la giuria avesse ricevuto tutte le informazioni relative a Rosenthal, avrebbe fatto a meno di condannarlo. Un caso a dir poco sconcertante, che pero’ al momento non offre via d’uscita a livello giudiziario — a conferma di come trattasi di questione squisitamente politica. Formalmente Rosenthal e’ colpevole di coltivazione e spaccio, pur rimanendo in liberta’ dietro la cauzione di 200.000 dollari versata al momento dell’arresto. Rischia fino a un massimo di 85 anni di carcere, e la pena che dovra’ effettivamente scontare verra’ resa pubblica a inizio giugno. Nonostante le conferenze-stampa e le ritrattazioni pubbliche, i giurati non hanno alcun potere sulla sentenza emessa o sulle decisioni future. Ma Rosenthal rimane comunque fiducioso: “Sia la giuria che il sottoscritto siamo vittime della persecuzione, di un’azione illegale del governo federale.” Ha dichiarato di fronte al nutrito gruppo di attivisti per la marijuana terapeutica che lo attendevano fuori dall’aula. “Non ho rimpianti, stavo aiutando delle persone malate.”